11 ottobre 2017

Mastro Titta passa Ponte

Anagnina: Licenziati da una mail,
in piazza i lavoratori della Ericsson

Viengheno: attenti: la funzione è llesta.
Ecco cor collo iggnudo e ttrittichente
er prim’omo dell’opera, er pazziente,
l’asso a ccoppe, er ziggnore de la festa.

Il fiume scorreva lento e silenzioso sotto i bastioni di Borgo quella calda notte di luglio. Lungo le corsie asfaltate del Lungotevere sfrecciavano le auto e le moto degli ultimi reduci della movida notturna, ed i lampioni dei muraglioni illuminavano nugoli di falene impazzite.
Di innamorati abbracciati sotto i platani no, non se ne vedevano più da tempo: è una società frenetica, la nostra, non c'è più tempo per certe cose. Giambattista, invece, quella notte se l'era presa comoda.

Era uscito tardi dal suo posto di lavoro in via Anagnina, perché tardi aveva dovuto iniziare il compito che gli avevano assegnato. Così, quando ebbe finito, non se la sentì di tornare subito a casa. Scese dalla metropolitana a piazza di Spagna e se ne andò a piedi fino a quell'osteria del vicolo della Campanella, vicino a dove era la casa di tolleranza immortalata da De Sica in "Ladri di biciclette".
Rimase seduto a quel tavolino all'aperto fino a quando l'oste non iniziò a ramazzare la strada di fronte all'osteria, segno inequivocabile che era ora di togliere il disturbo. Così, barcollando e caracollando, Giambattista arrivò di fronte a Castel Sant'Angelo, e imboccò il ponte.

I dieci angeli di marmo che costeggiavano i due lati del ponte sembravano guardarlo severi, così come gli pareva che lo osservassero le teste mozzate di tutti quei condannati a morte che secoli prima era uso infilzare su pali per esporle sul ponte come monito per la popolazione.
Allora accelerò il passo, attraversò il ponte a testa bassa e costeggiò il Passetto di Borgo, "er Corridore", quella specie di passaggio/cunicolo ricavato sopra le Mura Vaticane, che collega il Vaticano con la fortezza di Castel Sant'Angelo e grazie al quale papa Clemente VII si salvò il culo durante l'invasione dei Lanzichenecchi. Si sa anche che il popolo romano non ebbe la stessa fortuna, ma questa è un'altra storia.

Comunque, quella notte Giambattista ringraziò il Passetto, seguendo il quale, nonostante la mente annebbiata dal vino, riuscì a ritrovare il posto dove abitava, in vicolo del Campanile, al civico 2, un vecchio palazzetto dei primi del Cinquecento dove aveva preso in affitto un monolocale ristrutturato di recente. Quel luogo, seppure carico di storia, gli aveva sempre generato un senso di inquietudine, ma Giambattista lo aveva attribuito alla solitudine in cui era costretto a vivere, lontano dalla sua  famiglia per motivi di lavoro, e poi glielo avevano affittato ad un prezzo bassissimo, del quale non si era mai capacitato. Di solito Giambattista lavorava da casa, era in "telelavoro", come si soleva dire nella sua azienda, così erano rare le occasioni in cui passava il ponte per recarsi in ufficio, ma quella sera era stata un'occasione speciale.

Gli avevano dato un elenco di 182 nomi, con 182 indirizzi mail e 182 files da allegare, uno per ciascuna mail. Gli avevano detto di attendere che gli arrivasse il via libera, prima di iniziare a mandare le e-mail. Così, dopo che l'ultimo impiegato fu uscito dai cancelli di via Anagnina, Giambattista ricevette la telefonata, un unica parola: "Inizia!". E Giambattista iniziò, un nome dopo l'altro, una mail dopo l'altra, perfettamente conscio di cosa significassero quelle lettere, anche se cercava di non pensarci. Ma ad ogni click sul tasto di invio gli sembrava di udire uno schiocco secco, un vociare di folla esaltata ed un crepitio, come di ceffoni affibbiati sulla faccia di un bambino. 

Andò avanti così, per quattro ore, un click dopo l'altro, cercando di non pensare che quei segnali elettrici generati dalla pressione del suo dito indice sul mouse si sarebbero tramutati in disperazione nelle case e nelle famiglie in cui quelle mail sarebbero arrivate, di notte, come i ladri. Andò avanti così, per quattro ore, fin quando non arrivò alla fine della lista. Allora alzò il telefono, compose il numero e pronunciò una sola parola :"Fatto." Si alzò e uscì dall'ufficio, ma non prese la sua macchina quella calda sera di luglio, non se la sentiva di guidare. Prese la metropolitana, scese vicino alla scalinata di Trinità de' Monti e si incamminò verso quell'osteria.

A tutto questo stava ripensando Giambattista quella sera, steso insonne sul letto nel suo monolocale in vicolo del Campanile, non riuscendo a togliersi dalla mente quel vociare, quel rumore di schiaffi. Così, mentre le mura della sua stanza gli giravano intorno senza sosta, sullo sfondo buio della porta gli parve di intravedere una sorta di mantello rosso mentre una nenia, una filastrocca da bambini, sembrava scendere dal soffitto, ripetendo senza fine, senza fine...
Sega, sega, Mastro Titta
'na pagnotta e 'na sarsiccia;
una a me, una a te,
una a mammeta che so' tre!



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