1 dicembre 2010

Vincenzo Scatolari, wikileaker dé noantri


Da: la Repubblica

Frattini: "Catturate e interrogate Assange".

ROMA - In attesa di vedere la reale portata della prossima bufera, anche a 48 ore dalla prima le cancellerie di mezzo mondo hanno ribadito parole di condanna per la scelta di divulgare materiale riservato. Nel coro di accuse spicca però l’appello del ministro degli Esteri italiano Franco Frattini affinché Assange venga "catturato e interrogato per capire che gioco fa e per capire chi c'è dietro".



Da: La Presidenza del Consiglio dei Ministri

"Dichiarazione Universale dei Diritti Umani".

Articolo 19 - Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.




Me chiamo Vincenzo, Vincenzo Scatolari, e so' nato a Roma.

L'anno preciso nun me lo ricordo, nun l'ho mai saputo, però me ricordo che a Roma già c'era papa Innocenzo decimoprimo, un fijo dé nobbili che veniva dar Nord Italia. Er popolo lo chiamava "papa minga" cioè "papa no", nun solo perché parlava coll'accento milanese, ma perché era un papa moralista al massimo, che penzava solo a negà tutti li piaceri della vita: ar popolo, ovviamente. Così la prima cosa che fece fu de chiude li teatri de Roma, perché l'unica musica che se se doveva sentì, seconno lui, era quella sacra, la sua, sinnò gnente!

A li tempi mia, nun era mica così facile fà er giornalista, anzi, manco esisteveno li giornali! Certo, la stampa c'era già. Dicevano che l'aveva inventata un tedesco du' secoli prima e che la prima cosa che aveva stampato era stata la Bibbia, tanto pe' mette le mani avanti e leccà er culo ar papa de' quer tempo. E da quer giorno, daje giù a stampa' bibbie, vangeli, editti de li re, leggi, proclami, ordinanze, condanne a morte da appiccica' in su li muri, ma mai un foglio che parlasse de quello che succedeva veramente, de li scandali de corte, de l'amanti de li papi, de la fame de la ggente, de le guere proclamate pe' 'na ripicca fra li re, gnente, manco 'na virgola!

Così, un bel giorno, me venne l'idea e me misi a scrive in su delli fogli de carta che me regalava un chierichetto amico mio, che se li fregava dalla scrivania der vescovo, e scrivevo tutto quello che sentivo in giro. E scrivevo de li miracoli che faceva zì prete nella parrocchia dé Santa Margherita, dove tutte le mogli sterili se recavano a chiede la grazzia, e dopo nove mesi, per miracolo, nasceva un pupo. Opuramente de un certo Galileo de' li Galilei, uno de Pisa, 'no studioso che diceva che nun era er Sole che girava intorno a la Tera, ma er contrario. E siccome li preti nun poteveno permette che quarcuno mettesse in discusione er libbro de la Genesi, cioè er pane loro, glie dissero: "O ammetti pubblicamente dé essete sbagliato, oppure te tagliamo la capoccia".
Così Galileo, che era scienziato, ma nun era coglione, preferì fà la figura dello sparacazzate in cima alla scalinata de' Trinità de' Monti.

E poi scrivevo de li re de la Francia e de la Spagna, che se faceveno guera pe' decide chi doveva da commannà in Italia, e criticavo er motto che girava fra la gente e che diceva: " o Franza o Spagna, purché se magna!"
E 'sti fogli me li annavo a vende fora dalle chiese, e la gente me li comprava. Chi me dava 'n ovo, chi un baiocco, chi 'na foglietta de vino; la maggior parte se li faceva pure leggere, perché a quei tempi a scola ciannavano solo li ricchi e li seminaristi. E l'affari annavano pure bene, fino a quanno nun me venne in mente la disgrazziata idea dé raccontà li fatti delle Pasque Piemontesi.

Era successo che al Nord, in Piemonte, una parte della gente più povera aveva inizziato a seguì le parole de un certo Pietro Valdo, un francese de Lione, il quale nel XII secolo aveva 'ncominciato a parlà de castità, de dové seguì le parole der Vangelo, che li preti dovevano donà tutte le loro ricchezze a li poveri. 'Na specie de San Francesco ante-litteram. Capirai! Prima che 'na mosca scureggiasse, furono accusati de eresia, de mistificazzione, de predicà parole de distruzzione de massa, e così li Gesuiti, inzieme alla Propaganda della Fede, che ereno li servizzi segreti de' quer tempo, se misero de punta pe' convince li duchi de' Savoia che doveveno sbarazzasse de' quei contadini puzzolenti, che mettevano in discusione li precetti der Papa.
E infatti Carlo Emanuele Giacinto Filiberto di Simiana marchese di Pianezza, il quale, a dispetto der nome altisonante, era er fijo de la figlia nata illeggittima de Emanuele Filiberto, pé fasse vedé che nun era da meno der nonno, fece 'na stragge dé Valdesi nella valle di Rorà.
'Ste cose io le scrissi, e le andai a distribbuì davanti a le chiese. Tempo tre giorni, e er bargello me venne de notte a bussà a la porta accompagnato da quattro gendarmi, e me portorno a Castel Sant'Angelo, co' l' accusa che avevo violato l'illibbatezza de dù suore dé clausura ultraottantenni. Er processo nun me lo fecero mai. Prima me interrogarono pé sapé se me pagavano li francesi o li spagnoli. Poi me rosolarono a foco lento, come le ciummache sulla brace, che quanno senteno che glie coce er culo cominceno a cantà la canzone de frà Dolcino. Infine, quarche anno dopo, er papa milanese decise che era abbastanza, e me concesse de avé tagliata la capoccia.

Faceva caldo, ancora me lo ricordo, era il 2 d'Agosto der 1685. La gente sotto al palco me diceva li mejo morti, me strillava "A fijo dé 'na mignotta!", che era pure vero, perché mì padre nun l'ho mica mai conosciuto. Me tiravano addosso le cocce sporpate de li cocommeri che avevano comprato dar cocommeraro vicino ar Teatro Marcello. E io penzavo, fra me e me: "Ma chi cazzo me l' ha fatto fà!" Poi, però, m'é venuta come 'na visione: che un giorno quarcuno, seguendo l'orme mie, avrebbe detto: "Mò li sputtano a tutti, 'sti farsi ipocriti!" e che nessun papa, nessun gesuita da du' sordi, glie avrebbe potuto dì gnente, perché la gente l'avrebbe difeso.

E subbito dopo, me tagliorno la capoccia...e bonanotte ar secchio!

30 novembre 2010

La settima luna di Mario

Da: l'Unità

Si è suicidato Mario Monicelli
l'ultimo gigante del cinema italiano


ROMA - La notizia è arrivata ieri sera verso le 22, ed era la notizia che non avremmo mai voluto sentire, anche se lo scorrere inesorabile del tempo la rendeva sempre più probabile. Mario Monicelli ha detto basta. A 95 anni, e con il cervello sempre lucidissimo, al punto che ci eravamo ormai illusi che fosse immortale.




La Commare Secca avrebbe potuto coglierti come Abacuc, con i tuoi amici intorno a consolarti, a prometterti cieli sereni, pagnotte, canti di angeli, ma non eri il tipo.

Tu te ne sei andato come Brancaleone, lottando contro la Morte che ti stava negando la dignità, decidendo tu come e quando dire basta.

Ora ti faranno i funerali, parteciperanno tante personalità, ma a me piace pensare che tu preferiresti che venissero Peppe er Pantera, Ferribotte, Capannelle, Mario, Tiberio, Dante Cruciani, e tanti ragazzini, così, tanto pe' falli svaga' un po'.

31 ottobre 2010

Gambadilegno

Da: Corriere della Sera.it

Il presidente del Consiglio al forum della Confcommercio
Berlusconi: «Gli italiani devono lavorare di più»

CERNOBBIO (Como) - «Ci sono molte festività in eccesso, dovremo far lavorare di più gli italiani. Qualche giorno di lavoro in più produrrà un benefico effetto sul prodotto interno lordo dell'Italia». È stato uno dei passaggi dell'intervento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al forum della Confcommercio. «Stiamo lavorando per individuare sprechi, rivoli, sussidi che sono poi soltanto privilegi che si dovrà avere il coraggio di tagliare. Dovremo far lavorare di più gli italiani, ci sono molte festività in eccesso, sappiamo che un ponte in meno produce un incremento sensibile sul pil».Poi ha raccontano un aneddoto: «Sono andato in Cina e ho notato che c'era molto fervore: grattacieli, negozi. Con un funzionario sono andato a fare un giro e mi ha detto: "Qui si lavora sette giorni alla settimana, per 12 ore al giorno, non ci sono i sindacati"».


Da: il Giornale.it

Turismo, l'Italia come l'Andalusia: "Investiamo nei campi da golf"

Il ministro del turismo punta sulla costruzione di nuovi impianti per giocare a golf: "Sono una grande opportunità per il nostro Paese"

dal nostro inviato a Cernobbio
“Se l’Andalusia ha rilanciato il turismo per i campi da golf, perché non possiamo farlo anche noi?”. Michela Vittoria Brambilla si toglie gli occhiali, li appende alla maglietta, e strizza gli occhi con fare interrogativo. Perché no? Poi torna il guizzo brianzolo: “E infatti lo stiamo facendo”.







Gustavo impiegò i soliti buoni quindici minuti per convincere a furia di colpi di pedivella il motore da 150 cc. del suo motofurgone APE a scuotersi di dosso il gelo della notte. Certo, il suo era un lavoro duro, alzarsi nel bel mezzo della notte per fare il giro dei cassonetti a cercare ferri vecchi, fili elettrici, pentole ammaccate. Qualche volta, quando era fortunato, gli capitava anche di trovare una lavatrice mezza smontata o una vecchia vasca di ghisa abbandonata di nascosto, nottetempo, accanto ai cassonetti da qualcuno che non aveva voglia di portarla in discarica. Ed era per questo che Gustavo si muoveva di notte, perché in questo modo riusciva ad anticipare le frotte di concorrenti, spesso disperati dell' Est, che di giorno passavano al setaccio le strade della città a caccia di qualunque cosa si potesse rivendere.
Nonostante tutto, gli piaceva girare di notte. Gli piaceva il silenzio che si riappropriava delle strade, il canto degli uccelli notturni, la luna che lo accompagnava nel suo peregrinare, ma soprattutto gli piaceva la solitudine, la sensazione che la città fosse vuota e a sua totale disposizione. Abitava in una baracca, ricavata sotto uno degli antichi archi dell' acquedotto Felice e in fondo la sistemazione non gli dispiaceva poi più di tanto. Le mura erano solide, e non potevano essere altrimenti, visto che l'acquedotto prendeva il suo nome da Felice Peretti, meglio noto come papa Sisto V, che aveva voluto costruirlo alla fine del 1500 per portare acqua alla sua sontuosa villa Montalto. "Papa Sisto non perdona neanche a Cristo", era il detto di quegli anni, e quindi era ovvio che i maestri carpentieri dell' epoca avessero dato il meglio di sé nel costruirlo. Abitava in quella casupola da quando sua moglie lo aveva cacciato di casa, dopo che era successo il fatto.

Il fatto, lui chiamava così quello che accadde quel maledetto mattino di Gennaio di un anno prima, il 6 di Gennaio, il giorno dell' Epifania. In quel giorno i re Magi portano i doni al Bambinello, nelle famiglie si passa l' ultima festa prima di Pasqua e i bambini scartano i regali, ma il dono che lui ricevette quel giorno fu un perno di acciaio al nickel da venti centimetri, inseritogli in ospedale fra tibia e femore per bloccargli il ginocchio frantumato nell' incidente. Sì perche Gustavo aveva un lavoro vero, prima, era un carpentiere rifinito proprio come quelli dell' acquedotto Felice, e non si tirava mai indietro quando gli chiedevano di lavorare un pò di più, quindi nemmeno quel giorno si rifiutò, quando arrivò il principale in persona a dire: "Ragazzi, finalmente abbiamo un governo con le palle che ha capito come si deve fare! Perciò basta con queste feste da preti! A fare festa si fa sempre in tempo, e poi in Italia ogni scusa é buona per non lavorare. Quindi, visto che siamo in ritardo con il cantiere, oggi si lavora e, chi non é d'accordo, domani può risparmiarsi la fatica di tornare!". Ultimato il discorso, il principale salì sulla sua Bentley nera metallizzata, unico esemplare in tutta la città, e se ne andò sgommando sul fango del piazzale.

Gustavo non si tirò indietro, e quando il carico di tondini di ferro scivolò giù dal gancio della gru maciullandogli la gamba destra, non provò dolore, ma soltanto stupore ed imbarazzo per la brutta figura. Ovviamente, dopo la convalescenza, non fu riassunto in cantiere, perché per uno sciancato non c'è posto là dove si lavora veramente. "Gambadilegno" lo chiamavano i ragazzi del quartiere e i suoi amici di un tempo iniziarono a salutarlo con un frettoloso imbarazzo, quando non riuscivano ad evitare di incrociarlo per la strada. Certo, sua moglie non aveva avuto tutti i torti a dirgli di andarsene, soprattutto dopo che aveva iniziato a passare la maggior parte del suo tempo nelle osterie. E così si era ritrovato a doversi reinventare una vita, notturna questa volta, con il vantaggio di non sentire più i ragazzini urlargli dietro: "Gamba-de-legno, muso-de-ragno!"

Anche quella notte iniziò ad infilare il solito rosario di cassonetti, ma stavolta si spinse un pò più lontano. Era la notte dell'Epifania e pensò che nei quartieri eleganti della città ci fossero più probabilità di trovare, fra gli scarti della festa, qualche oggetto da poter vendere o riciclare. All' improvviso, un oggetto luccicante, che spuntava da un cestino dei rifiuti, attirò la sua attenzione: una mazza da golf, di quelle pesanti, un ferro per i tiri lunghi, un pò graffiato dal tempo e dall' uso, evidentemente considerato inidoneo dal suo proprietario. Un "driver", come gli aveva insegnato da ragazzo un suo amico che si era messo a fare il cuddy ai campi di golf esclusivi dell' Acquasanta, dopo che da bambini avevano passato i loro pomeriggi migliori a fregare le palline da quei prati alla faccia di quei ricconi, passando per un buco della rete di recinzione. Che traditore!

Quel ricordo gli fece tornare in mente un articolo di giornale che gli era capitato fra le mani pochi giorni prima. Un ministro del governo, anzi una ministra, lanciava un'idea: "Costruiamo campi da golf dappertutto, per incrementare il turismo!"
-Che idea del cazzo!- pensò -Prima ci tolgono i giorni di festa per farci lavorare di più e incrementare il PIL, poi ci dicono di incrementare il turismo, nei campi da golf!-
Non sapeva se ridere o incazzarsi ma, prima di riuscire a prendere una decisione in merito, rimase stordito, con la testa inclinata da un lato e la bocca semiaperta, osservando un' auto parcheggiata proprio dall' altro lato del marciapiede. Una macchina scura, lucente, e sul muso una B argentea in mezzo a due ali spiegate, un' auto da duecentomila euro: una Bentley nera metallizzata, unica in tutta la città! Sentì il ferro infisso nel suo ginocchio bruciargli le carni come fosse rovente, e rovente era diventato anche il ferro della mazza da golf che stringeva fra le mani.
Attraversò la strada trascinando la sua gamba e, giunto vicino all' auto, iniziò il suo lavoro, metodicamente, cominciando dai fari e proseguendo con il resto della vettura.

Le prime luci rosee dell' aurora iniziarono ad annunciare l'alba, e Gustavo si sedette al posto di guida del suo motofurgone APE, depose con cura accanto a sé la mazza da golf e dette un colpo di pedivella per avviare il motore da 150cc. Pensò di aver fatto veramente un bel lavoro, e che i suoi concorrenti robivecchi sarebbero stati felici, fra poco, di trovare lì ammucchiati tutti quei rottami, pronti per essere portati via.
Lui non prese nemmeno una vite ma, ruotando la manopola del cambio, ingranò grattando la prima marcia e se ne andò, canticchiando allegramente:
"Gamba-de-legno, muso-de-ragno ..."

6 ottobre 2010

Contessa

Da: Il Sole 24ORE


Il premier: modifica articolo 41 è vera rivoluzione

La modifica dell'articolo 41 della Costituzione sulla libertà d'impresa, al vaglio del governo, è una «vera e propria rivoluzione che darà una spinta molto forte a chi vuole dare vita a nuove iniziative». Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, intervenendo telefonicamente al convegno della fondazione Liberamente in corso a Moniga del Garda (Brescia), è tornato a ribadire l'importanza di ridurre i vincoli a favore della libertà d'impresa. Il premier ha spiegato che l'iniziativa dell'esecutivo farà si che «non prevalgano i nemici della libertà, del bene e dell'impresa». Berlusconi ha , invece, definito «ridicola» la proposta di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie; «Credo di aver reso un buon servizio al mio Paese anche in Europa, con il veto sulla tassa sulle transazioni finanziarie che, se fosse stata approvata solo dall'Ue e non dagli altri grandi Paesi, avrebbe spostato negli Stati Uniti o altrove le transazioni».






Tor Bella Monaca: quartiere popolare alla periferia Est di Roma.

Romolo era seduto accanto al finestrino e osservava il sole ormai basso filtrare a malapena attraverso i vetri sporchi del bus numero 20 che quella sera, come tutte le altre, lo stava faticosamente riportando a casa.
Non poteva fare a meno di pensare che quei raggi, prima di infrangersi sulle lamiere del bus, avevano benedetto gli ultimi bagnanti della stagione estiva sdraiati sul bagnasciuga degli stabilimenti balneari di Ostia, illuminato gli eleganti appartamenti dell' EUR, baciato le terrazze fiorite degli attici che si affacciano su piazza Navona e Trinità de' Monti, scaldato le piscine dei cafoni arricchiti con le loro ville sull' Appia antica e che solo dopo aver sorvolato i quartieri fatiscenti di Torre Maura erano arrivati fino a lui. Immaginò quindi che fosse normale che, dopo un tale viaggio, quei raggi non riuscissero a scaldarlo più di tanto.

Il bus si avventurò per via dell' Archeologia e finalmente Romolo vide il palazzo in cui abitava, un enorme drago di cemento, alto nove piani e lungo quasi due chilometri, un serpentone marino sdraiato a zig-zag sulla campagna ad Est di Roma. Le sue centinaia di finestre luccicavano come squame rossastre e dietro di esse migliaia di esseri umani brulicavano come formiche, ognuno con la sua storia, i suoi sogni e le sue illusioni. Conosceva bene il suo quartiere ed il degrado che lo pervadeva. Sapeva dove le ragazze di strada, poco più che adolescenti, aspettavano i loro clienti, oppure gli slarghi dove si riunivano gli spacciatori. Alcuni di essi erano compagni di scuola di suo figlio e lui era terrorizzato all' idea che Righetto potesse un giorno fare quella fine o che potesse unirsi ad una di quelle bande giovanili che scorrazzavano per il quartiere a caccia di extracomunitari da picchiare, così, soltanto per riempire il vuoto dei pomeriggi in borgata.

Righetto frequentava ora le scuole medie e Romolo lo vedeva molto cambiato rispetto ad un anno prima, sembrava più adulto rispetto alla sua età. Aveva iniziato a vestirsi come tutti gli altri ragazzi del quartiere: jeans larghi portati all'altezza del sedere, berretto con visiera accartocciata, capelli a spazzola. Romolo ricordava ancora i propri anni giovanili, quando lui ed i suoi amici portavano i capelli lunghi, noncuranti degli sguardi critici degli adulti, simbolo di una generazione di sinistra che anelava alla rivoluzione come soluzione radicale alle ingiustizie e allo "sfruttamento del ceto proletario". Ricordava quando una testa rasata identificava il nemico da combattere, lo squadrista di destra da cacciare dal quartiere. Rammentava il suo entusiasmo giovanile, gli ideali che credeva non lo avrebbero mai abbandonato, i cortei ai quali partecipava con i suoi amici cantando canzoni di lotta.
Ed ecco ora come era finita la sua rivoluzione: in un autobus fatiscente, dopo una giornata di lavoro precario sottopagato, con la testa appoggiata al finestrino ed un gelo nell'anima che un sole esausto non riusciva a scaldare.

Gli ci vollero ancora tre fermate, tanto era lungo l'edificio, prima di avvistare le finestre del suo appartamento. Quella della cucina era illuminata, e lui sapeva che Anna, sua moglie, era lì, intenta a stirare mentre attendeva il suo ritorno. Scese dall' autobus e a testa bassa si infilò svelto nel portone, salendo poi a piedi, lentamente, i quattro piani di scale che lo separavano dal suo appartamento, rinunciando all' ascensore, guasto da tempo immemorabile. Giunse dinnanzi alla porta di casa, attese qualche istante e poi, dopo aver indossato il solito sorriso rassicurante, suonò il campanello.
- Ciao papà!! - esclamò la piccola Barbarella saltandogli al collo e coprendolo di baci come faceva sempre quando mirava ad ottenere qualcosa. Tirò un respiro profondo e poi, spalancando gli occhi, iniziò tutto d'un fiato:
- Papà, che me lo compri lo zaino novo? Io ciò ancora quello de dù anni fa che s'è sgarato tutto e poi quella stronza de Pina la compagna mia de banco me l' ha 'mpataccato tutto co' l'inchiostro che io glie l'avevo detto a quella scema de nun mozzicà la penna ma lei gnente così ha scassato er tubbetto e quanno che l' inchiostro gliè finito in bocca ha cominciato a sputa' dappertutto che poi a me m'è annata pure bene che ciò rimesso solo lo zaino ma alla maestra glià macchiato la gonna bona quella verde plissettata.-

Barbarella riprese fiato per un attimo, poi continuò:
-Hai da vede che faccia ha fatto la maestra, sembrava che glie stava a di' li mejo morti pe' telepatia! Capirai, glie doveva piace' veramente quella gonna, visto che se la metteva quasi tutti i giorni. Comunque, secondo me, ciaveva solo quella de gonna, pure perché se lamenta sempre che pija 'no stipendio da fame pe' corpa de ... come dice? Ah si, "quella zoccola der ministro" ... a proposito papà, ma che è un ministro? -
- Lassa perde, Barbarè, che papà te lo compra lo zaino novo, nun te preoccupa'. Però tu cerca de anna' bbene a scola e de nun di' parolacce, capito?-
-Grazzie papà! Nun te proccupa' ché io so' brava a scola e poi cor ciufolo che me ce metto più allo stesso banco co' quella triglia rincoglionita de Pina.-
Romolo non ce la fece a trattenere un sorriso, stavolta sincero, e si diresse verso la cucina.

- Ciao Romole'! - lo salutò sua moglie con la consueta allegria - Tutto bene?-
- Tutto a posto Nannare'. E Righetto? Com'è che nun sta a gioca' co' la playstation come ar solito? Che deve ancora fini' li compiti?-
- No, li compiti l'ha fatti. Solo che se vergogna de fasse vede' perché a scola l' hanno sospeso pe' un giorno. -
- L'hanno sospeso?! E perché? -
- Pare che s'è menato co' un compagno de scola e l'ha corcato de brutto, ma nun m'ha voluto racconta' er motivo. -
- Lo so io perché! - esclamò Romolo, - Perché sta a diventa' un bullo come tutti i ragazzi de 'sto quartiere, ecco perché, ed é tutta corpa mia che ve ciò portati a vive... Ma mò me sente! -

Aprì la porta della stanza dei ragazzi e nella penombra vide la sagoma di suo figlio, seduto accanto alla finestra, che osservava pensieroso la strada.
- Allora?- esordì Romolo, - che é mò 'sta novità? Te sei messo a mena' le mani come un teppistello da du' sordi? E' questo che t'ho 'mparato?-
- No papà, nun è così... ecco... è stata corpa ... der 41.-
- De che? Ma che me stai a pija' per culo? Guarda Righe' che nun è aria, che a quest' ora a me nun me va proprio de scherza'!-
- Mò te spiego. Vedi, la professoressa de italiano oggi cià parlato della Costituzzione, del fatto che fu scritta dopo la caduta der fascismo coll'intenzione de evita' che potesse torna' 'no stronzo a di' che commanna tutto lui. Poi cià spiegato pure che quei capoccioni, li padri della Costituzzione, nun hanno penzato sortanto a dettare i principi di base, er diritto ar lavoro, alla salute, all'istruzzione, all' informazzione, alla possibbilità de radunasse pe' parla' de politica e de tutto quello che te pare, alla legge uguale pe' tutti, ma hanno pure escoggitato dei sistemi di autoprotezzione della Costituzzione stessa, come nei firm de Indiana Jones, proprio pe' evita' che un giorno arivasse 'na testa de cazzo qualsiasi che, credendose de esse n'artro Musolini, potesse di': "Mò cambio la Costituzzione e faccio come me pare!"
Pe' questo la Costituzzione pò esse cambiata solo dar Parlamento co' la maggioranza de du' terzi, o sinnò deve esse cambiata dar popolo co' un referendum...-
- Guarda Righe' che a scola ce sò annato pure io e la conosco la storia della Costituzzione!-
- Sì, ma io nun la conoscevo! Me penzavo che fosse 'na cosa noiosa scritta da quattro vecchi rincoglioniti, e invece erano proprio furbi come fiji dé 'na mignotta!-
- Avevano fatto la Resistenza, Righe'. Avevano visto che brutta faccia ciaveva la dittatura e come era stata ridotta l' Italia, perciò se la so' studiata bene prima de promurgalla. Ma che c'entra questo co' la storia de 'sto 41 e co' la rissa?-
-Er 41 sarebbe st'articolo qua...- e aprendo un libricino iniziò a leggere, schiarendosi la voce:

"L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. "

- Me pare giusto, - commentò Romolo - vor dì che ogni persona cià il diritto di soddisfare il proprio bisogno di migliorare e svilupparsi come meglio vuole, utilizzando le proprie capacità, ma che i modi che sceglie non devono essere però in contrasto con il bene della collettività e dei singoli che la compongono, visto che é nella collettività, cioé nello Stato, che lui opera, sinnò torneremmo alla legge della giungla dove chi cià li denti più lunghi magna e poi a furia de magna' tutti l'artri, se morirà de fame perché c'è rimasto solo lui. Ma che c'entra questo co' la sospensione?-
- C'entra perché la professoressa, pe' spiegacce come se pò cambia' la Costituzzione, ha fatto l' esempio de 'sto articolo 41, che quelli che stanno ar governo vorebbero cambia', pe' stimola' la libbera impresa, dicheno loro. -
- A Righe', tu lo sai come la penso io su sto governo, no? Perciò, si vogliono cambia' st'articolo, sta sicuro che c'é la fregatura pe' chi lavora.-
- E' quello che ho detto pure io! Già Tremonti ha cominciato a di' che la legge 626, quella sulla sicurezza sur posto de lavoro, é un lusso che nun se potemo più permette. Adesso vonno modifica' pure la Costituzione co' la scusa che così é più semplice apri' un'attività, come si la burocrazia esistente fosse corpa della Costituzzione e non delle leggi che fanno loro. Ma te l'immaggini che pacchia pe' la mafia pote' ricicla' i capitali sporchi in imprese senza controlli? Qui co' la scusa della concorrenza della Cina, vonno fa' piazza pulita dé tutti i diritti che i lavoratori se so' guadagnati nell' anni! -
Romolo guardò suo figlio attonito. Non lo aveva mai udito pronunciare simili discorsi. Lo aveva lasciato un bambino dedito ai videogiochi e lo ritrovava un ragazzo con una maturità inaspettata. Come aveva fatto a perdersi quel passaggio, dove era lui mentre suo figlio scopriva se stesso?
- Righe', so' tutte cose giuste quelle che hai detto, ma nun m'hai ancora spiegato perché te sei menato co' quell' artro ragazzo.-
- Quello è er fijo der costruttore, quello ammanicato ar Comune. Quanno m'ha sentito che dicevo quelle cose, ha detto davanti a tutti che parlavo così solo perché ero fijo de n'operaio sfigato e scanzafatica capace solo de sciopera'.
Allora ho visto tutto rosso, così gliò dato 'na crocca in bocca e glie sò salito sopra co' li piedi. La professoressa voleva mette tutto a tacé, ma poi é entrato er preside e... er resto lo sai.-

Romolo esitò, un turbinio di sensazioni gli avevano bloccato i pensieri. L' unica cosa che riuscì a dire con un filo di voce fu:
- Sì l'hai fatto pe' me, hai sbagliato e nun lo fa più. Ma sì l'hai fatto pe' un principio...-
Non terminò la frase. Uscì barcollando dalla stanza e, all' improvviso, esclamò a voce alta:
- Nannarè, ragazzi, vestiteve bene che stasera ve porto a cena in trattoria! Sbrigateve, che io v'aspetto de sotto! -
Si chiuse la porta alle spalle inseguito dai gridolini di gioia di Barbarella e dalla voce allegra di Anna che incitava Righetto a fare presto.

Uscì nella strada. Il sole rosso del tramonto lo inondò di luce e Romolo sentì stranamente un calore invaderlo come da tempo non ricordava. Il suo quartiere gli si rivelò improvvisamente splendido e abitato da gente perbene .

Si sedette sulla panchina in mezzo al giardinetto spelacchiato e, alzando lentamente il pugno verso il cielo, ad occhi socchiusi liberò dal suo cuore, dopo tanti anni, le parole di una vecchia canzone.

18 febbraio 2010

La pietra dello scandalo



Da: Corriere Della Sera.it

Dodicenne americana portata via dagli agenti davanti ai compagni di classe come una criminale. E' già polemica


MILANO - E' stata fermata dai poliziotti che l'hanno portata via dalla sua scuola in manette, incuranti delle sue lacrime e grida di disperazione. L'hanno trattata da vera criminale, nonostante abbia solo 12 anni. E nonostante il suo reato consista nell'avere scritto con un pennarello verde «Amo i miei amici Abby e Fait. Lex è stata qui il 2/1/10» sul banco di scuola. Una colpa che non le è costata un semplice richiamo, una nota ai genitori o una ramanzina da parte del preside. Alexa Gonzales, una giovane studentessa della Junior High School di Forsest Hill, nello stato di New York, non è finita in carcere ma ha dovuto subire qualcosa che per un'adolescente come lei è forse peggio: l'umiliazione davanti a tutti i compagni di classe.

ECCESSO DI ZELO - La storia è raccontata dal sito Internet dell'emittente americana Cnn, che punta il dito contro l'eccesso di zelo con cui le autorità scolastiche interpretano la cosiddetta «tolleranza zero». Negli istituti americani si registrano numerosi casi di violenza ed è noto che nelle diverse scuole siano all'ordine del giorno metal detector e vere e proprie "ronde" da parte di sorveglianti. Questi ultimi, in molti casi, sono associati proprio alle autorità di polizia municipale con cui lavorano a stretto contatto. Ma dall'essere quasi poliziotti al fare intervenire i veri agenti per portare via una ragazzina che ha lasciato una scritta sul banco (alzi la mano chi non lo ha mai fatto....) ce ne corre. O, almeno, dovrebbe. Invece la storia è arrivata ai media e ora negli Usa si riapre il dibattito sui metodi di controllo e di prevenzione della micro-criminalità giovanile.

COMMENTA la notizia
18.0219:01

Arthur_Dent
Esistono delle regole? Si? Vengono rispettate? No? Peccato. Concordo che tale trattamento sia durissimo e, probabilmente, traumatizzante. Ma sono certo che la ragazzina la prossima volta ci penserà non una ma due volte prima di "vandalizzare" il banco di scuola. Ed altrettanto faranno i suoi compagni.
Ah, a proposito... sono con la mano alzata. Non ho mai fatto scritte sui banchi, sui muri o roba simile. E certi comportamenti sono incivili sempre, anche se adottati da molte persone.







Le cinque del mattino lo svegliarono, come tutte le mattine, e come tutte le mattine, sedendosi sul bordo del letto, allungò la mano verso la vecchia sveglia posta sul comodino, giusto in tempo per tarparne il trillo un attimo prima che il meccanismo scattasse. Anticipava sempre la vecchia sveglia, ereditata tanti anni prima da sua madre. L'abitudine gli impediva di addormentarsi senza averla attivata, ma il suo carattere lo obbligava a spegnerla prima che suonasse. Non avrebbe sopportato un eventuale rimbrotto dai suoi vicini.
Infilò ai piedi le sue vecchie pantofole, prima la destra poi la sinistra, come sua abitudine. Come sempre, aveva preparato la caffettiera sin dalla sera prima, così gli bastò accendere il gas, prima di recarsi nel bagno. Si insaponò con cura il volto col pennello da barba, come faceva sin da quando suo padre, cinquant'anni prima, gli aveva regalato il suo primo rasoio moderno a lamette intercambiabili Gillette.
-Da oggi in poi sbarbati bene tutte le mattine!-, gli aveva detto suo padre, -non voglio che mio figlio assomigli a un rivoluzionario puzzolente!-.
L'acqua fredda del rubinetto gli sciacquò via i resti del sapone e del sonno, ed il caffé nella vecchia tazzina gli scaldò lo stomaco.

Spense il lumino che teneva acceso per tutta la notte sotto la foto dei suoi genitori. Suo padre, vecchio maresciallo dell'Arma, era stato il comandante della locale stazione dei carabinieri ed era, nel ritratto, vestito della sua uniforme di ordinanza, aspetto fiero ed orgoglioso, semper fidelis in ogni momento della sua vita. Sua madre, ex maestra elementare, aveva nella foto lo stesso portamento austero e la stessa severità nello sguardo che aveva incusso timore a generazione di alunni, lui compreso, e che egli non aveva mai visto venirle meno, nemmeno negli ultimi istanti della sua vita.

Spazzolò con attenzione le scarpe e si vestì con calma: camicia bianca, cravatta nera annodata alla perfezione e lo stesso completo color fumo di Londra che aveva indossato ogni giorno per quarant'anni, come una divisa, recandosi al suo impiego di temuto e rigoroso professore di Lettere Antiche presso il liceo femminile della sua città, senza mai mancare neppure per un giorno.

Aprì le persiane del salotto, uscì sul balcone che dava sul viale e si concesse la sua unica sigaretta giornaliera, fumata senza aspirarne a fondo il fumo. Con lo sguardo ripercorse tutto il viale lastricato di porfido, come faceva tutte le mattine, con il piacere di ritrovarne ogni dettaglio esattamente come lo aveva lasciato il giorno prima: giù in fondo, nella piazza, la fontana pubblica, con la targa commemorativa dei soldati caduti durante la Grande Guerra, e più in qua il negozio del tabaccaio, con la sua insegna, una grande T bianca, scrostata dal tempo.

A seguire, l'ufficio postale dove si recava a riscuotere la pensione tutti i primi lunedì del mese, il fruttivendolo, l'agenzia delle assicurazioni, il grande palazzo un tempo del principe Torlonia, ora sede della sua ex scuola. E poi le aiuole comunali, il comando locale dei Carabinieri con a fianco la banca e il chiosco dei giornali, ancora chiuso a quell'ora. E la rassegna continuava, snocciolando come grani di un rosario la sequenza degli eleganti negozi intervallata dai portoni dei vecchi palazzi fine ottocento, antichi, ma immacolati nel loro aspetto esteriore. Non un manifesto nè un cartellone pubblicitario ne deturpavano l'altera bellezza.

Gli piaceva passare in rassegna il suo viale aspettando l'alba, perché solo a quell'ora, libero dal traffico di mezzi e genti, riusciva indisturbato a coglierne tutti i dettagli e a godere del senso di ordine e pulizia che ne riceveva. Usciva raramente di casa, lo stretto indispensabile per le necessità quotidiane. Non amava mischiarsi tra la gente, non vi era abituato e non sopportava di assistere alla sciatteria, alla mancanza di rispetto per le regole, che gli sembrava dilagare nella società come Vandali al di sotto delle Alpi.

Persino una cicca di sigaretta gettata in terra gli sembrava uno sgarbo recato al suo viale e a lui personalmente. Per non parlare poi del vociare querulo dei passanti, dei richiami dei venditori al mercato o dell'affronto alla morale rappresentato dalle vesti attillate o dalle gonne corte delle ragazze moderne, che passeggiavano mano nella mano con dei bellimbusti altrettanto sfrontati, biasimevole esempio della decadenza morale dei tempi.

Anch'egli era stato giovane, ovviamente, ed anch'egli a volte aveva fantasticato di romantiche storie d'amore, magari con giovani ragazze il cui sguardo aveva fuggevolmente incrociato per strada, ma il pensiero di come avrebbe reagito sua madre se ne fosse venuta a conoscenza era sufficiente a sgombrare quei pensieri dalla mente così come il vento di maestrale spazza via le nubi dai cieli di Aprile.

E così si ritrovò anche quella mattina, in piedi sul balcone, con le mani appoggiate alla ringhiera, a godersi il suo mondo, il suo viale, ad assaporarlo ad occhi chiusi, immaginandoselo nei minimi dettagli, con la rassicurante soddisfazione, una volta riaperti gli occhi, di riscoprirlo esattamente come se lo ricordava. Metro dopo metro, mattone dopo mattone, riconosceva ogni dettaglio, a partire dal palazzo comunale fino al muro di cinta del chiostro del convento dei frati, proprio dinnanzi alla sua casa, con l'edera, che ne ricopriva una buona parte, e le feritoie con le grate in ferro battuto, ed il portoncino in legno con la piccola campana da suonare per farsi aprire dal sacrestano.

Eppure quell'armonia, quello spartito musicale che lui leggeva e rileggeva tutte le mattine, giunto a quel portone, da qualche giorno aveva una nota stonata, come di una canna d'organo che sfiatasse nel mezzo del crescendo di una fuga di Bach: una scritta, un disegno a vernice rossa, deturpava il muro come uno sfregio ad un dipinto di Rembrandt. Un cuore, un mieloso, patetico, sfrontato cuore rosso, trafitto dalla classica, banale freccia di Cupido e al di sotto una scritta, redatta con una calligrafia incerta, segno evidente di una mente ottusa e priva di fantasia:
-Gianni e Laura per sempre!-

Quella stecca lui era costretto ad ascoltarla ogni mattina, affacciandosi al balcone della sua casa come da un loggione alla Scala. Più volte si era recato dal frate priore, chiedendogli di porre rimedio, di cancellare quel disegno osceno, offesa recata alla bellezza e alla morale, ma il parroco gli aveva sempre risposto con le stesse parole:
-L' amore é vita e chi é senza peccato scagli la prima pietra-.

Più tardi quella domenica, nella chiesa attigua al convento, il priore rivolgeva ai fedeli il suo sermone, che quel giorno verteva sul sacramento della penitenza e del perdono. Il frate si era pericolosamente inoltrato in una dotta disquisizione sulle figure delle Marie, e di come fosse sempre stato difficile distinguere quella di Magdala dalla Maria di Betania, questione che vide diversi papi contraddirsi, partendo da Gregorio Magno per arrivare al Concilio di papa Giovanni e Paolo VI. I fedeli resistevano a stento al torpore che stava facendo breccia nelle loro coscienze, ed il priore era giunto a narrare per l' ennesima volta la storia della penitente salvata da Gesù dalla lapidazione, figura spesso sovrapposta alle prime due.

Fece appena in tempo a ripetere la frase pronunciata dal Salvatore
-Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la sua pietra-, quando un oggetto, successivamente identificato come un cubetto di porfido evidentemente asportato dal selciato, fu visto partire dal limite del sagrato.
Entrò dal portone, sorvolò l' intera navata centrale e, disegnando una parabola perfetta, arrivò ad impattare con precisione la fronte del priore, che rimase per un attimo lì, in piedi, attonito e con la bocca aperta, appoggiato alla balaustra del pulpito, prima di effettuare una rotazione di centottanta gradi intorno al bacino che lo portò a crollare a testa all'ingiù sull' ignaro organista che aspettava sonnecchioso il momento del Laudate Domine.

I fedeli, sgomenti, cercavano intanto di capire cosa stesse succedendo; le donne con il velo sul capo, disposte sul lato destro della navata, si segnavano ripetutamente invocando la protezione della santa, Maddalena, Betania o adultera che fosse. Gli uomini, sul lato sinistro, osservavano indispettiti la scena, timorosi che l'inconveniente potesse protrarre per le lunghe la celebrazione, ritardando il momento dell'osteria. All' improvviso, una voce si alzò dal fondo della navata ed un uomo, con un vestito color fumo di Londra, fu udito pronunciare le seguenti parole:
-Io lo sono! E tu, frate, togli quella cazzo di scritta dal muro!-

13 febbraio 2010