31 ottobre 2010

Gambadilegno

Da: Corriere della Sera.it

Il presidente del Consiglio al forum della Confcommercio
Berlusconi: «Gli italiani devono lavorare di più»

CERNOBBIO (Como) - «Ci sono molte festività in eccesso, dovremo far lavorare di più gli italiani. Qualche giorno di lavoro in più produrrà un benefico effetto sul prodotto interno lordo dell'Italia». È stato uno dei passaggi dell'intervento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al forum della Confcommercio. «Stiamo lavorando per individuare sprechi, rivoli, sussidi che sono poi soltanto privilegi che si dovrà avere il coraggio di tagliare. Dovremo far lavorare di più gli italiani, ci sono molte festività in eccesso, sappiamo che un ponte in meno produce un incremento sensibile sul pil».Poi ha raccontano un aneddoto: «Sono andato in Cina e ho notato che c'era molto fervore: grattacieli, negozi. Con un funzionario sono andato a fare un giro e mi ha detto: "Qui si lavora sette giorni alla settimana, per 12 ore al giorno, non ci sono i sindacati"».


Da: il Giornale.it

Turismo, l'Italia come l'Andalusia: "Investiamo nei campi da golf"

Il ministro del turismo punta sulla costruzione di nuovi impianti per giocare a golf: "Sono una grande opportunità per il nostro Paese"

dal nostro inviato a Cernobbio
“Se l’Andalusia ha rilanciato il turismo per i campi da golf, perché non possiamo farlo anche noi?”. Michela Vittoria Brambilla si toglie gli occhiali, li appende alla maglietta, e strizza gli occhi con fare interrogativo. Perché no? Poi torna il guizzo brianzolo: “E infatti lo stiamo facendo”.







Gustavo impiegò i soliti buoni quindici minuti per convincere a furia di colpi di pedivella il motore da 150 cc. del suo motofurgone APE a scuotersi di dosso il gelo della notte. Certo, il suo era un lavoro duro, alzarsi nel bel mezzo della notte per fare il giro dei cassonetti a cercare ferri vecchi, fili elettrici, pentole ammaccate. Qualche volta, quando era fortunato, gli capitava anche di trovare una lavatrice mezza smontata o una vecchia vasca di ghisa abbandonata di nascosto, nottetempo, accanto ai cassonetti da qualcuno che non aveva voglia di portarla in discarica. Ed era per questo che Gustavo si muoveva di notte, perché in questo modo riusciva ad anticipare le frotte di concorrenti, spesso disperati dell' Est, che di giorno passavano al setaccio le strade della città a caccia di qualunque cosa si potesse rivendere.
Nonostante tutto, gli piaceva girare di notte. Gli piaceva il silenzio che si riappropriava delle strade, il canto degli uccelli notturni, la luna che lo accompagnava nel suo peregrinare, ma soprattutto gli piaceva la solitudine, la sensazione che la città fosse vuota e a sua totale disposizione. Abitava in una baracca, ricavata sotto uno degli antichi archi dell' acquedotto Felice e in fondo la sistemazione non gli dispiaceva poi più di tanto. Le mura erano solide, e non potevano essere altrimenti, visto che l'acquedotto prendeva il suo nome da Felice Peretti, meglio noto come papa Sisto V, che aveva voluto costruirlo alla fine del 1500 per portare acqua alla sua sontuosa villa Montalto. "Papa Sisto non perdona neanche a Cristo", era il detto di quegli anni, e quindi era ovvio che i maestri carpentieri dell' epoca avessero dato il meglio di sé nel costruirlo. Abitava in quella casupola da quando sua moglie lo aveva cacciato di casa, dopo che era successo il fatto.

Il fatto, lui chiamava così quello che accadde quel maledetto mattino di Gennaio di un anno prima, il 6 di Gennaio, il giorno dell' Epifania. In quel giorno i re Magi portano i doni al Bambinello, nelle famiglie si passa l' ultima festa prima di Pasqua e i bambini scartano i regali, ma il dono che lui ricevette quel giorno fu un perno di acciaio al nickel da venti centimetri, inseritogli in ospedale fra tibia e femore per bloccargli il ginocchio frantumato nell' incidente. Sì perche Gustavo aveva un lavoro vero, prima, era un carpentiere rifinito proprio come quelli dell' acquedotto Felice, e non si tirava mai indietro quando gli chiedevano di lavorare un pò di più, quindi nemmeno quel giorno si rifiutò, quando arrivò il principale in persona a dire: "Ragazzi, finalmente abbiamo un governo con le palle che ha capito come si deve fare! Perciò basta con queste feste da preti! A fare festa si fa sempre in tempo, e poi in Italia ogni scusa é buona per non lavorare. Quindi, visto che siamo in ritardo con il cantiere, oggi si lavora e, chi non é d'accordo, domani può risparmiarsi la fatica di tornare!". Ultimato il discorso, il principale salì sulla sua Bentley nera metallizzata, unico esemplare in tutta la città, e se ne andò sgommando sul fango del piazzale.

Gustavo non si tirò indietro, e quando il carico di tondini di ferro scivolò giù dal gancio della gru maciullandogli la gamba destra, non provò dolore, ma soltanto stupore ed imbarazzo per la brutta figura. Ovviamente, dopo la convalescenza, non fu riassunto in cantiere, perché per uno sciancato non c'è posto là dove si lavora veramente. "Gambadilegno" lo chiamavano i ragazzi del quartiere e i suoi amici di un tempo iniziarono a salutarlo con un frettoloso imbarazzo, quando non riuscivano ad evitare di incrociarlo per la strada. Certo, sua moglie non aveva avuto tutti i torti a dirgli di andarsene, soprattutto dopo che aveva iniziato a passare la maggior parte del suo tempo nelle osterie. E così si era ritrovato a doversi reinventare una vita, notturna questa volta, con il vantaggio di non sentire più i ragazzini urlargli dietro: "Gamba-de-legno, muso-de-ragno!"

Anche quella notte iniziò ad infilare il solito rosario di cassonetti, ma stavolta si spinse un pò più lontano. Era la notte dell'Epifania e pensò che nei quartieri eleganti della città ci fossero più probabilità di trovare, fra gli scarti della festa, qualche oggetto da poter vendere o riciclare. All' improvviso, un oggetto luccicante, che spuntava da un cestino dei rifiuti, attirò la sua attenzione: una mazza da golf, di quelle pesanti, un ferro per i tiri lunghi, un pò graffiato dal tempo e dall' uso, evidentemente considerato inidoneo dal suo proprietario. Un "driver", come gli aveva insegnato da ragazzo un suo amico che si era messo a fare il cuddy ai campi di golf esclusivi dell' Acquasanta, dopo che da bambini avevano passato i loro pomeriggi migliori a fregare le palline da quei prati alla faccia di quei ricconi, passando per un buco della rete di recinzione. Che traditore!

Quel ricordo gli fece tornare in mente un articolo di giornale che gli era capitato fra le mani pochi giorni prima. Un ministro del governo, anzi una ministra, lanciava un'idea: "Costruiamo campi da golf dappertutto, per incrementare il turismo!"
-Che idea del cazzo!- pensò -Prima ci tolgono i giorni di festa per farci lavorare di più e incrementare il PIL, poi ci dicono di incrementare il turismo, nei campi da golf!-
Non sapeva se ridere o incazzarsi ma, prima di riuscire a prendere una decisione in merito, rimase stordito, con la testa inclinata da un lato e la bocca semiaperta, osservando un' auto parcheggiata proprio dall' altro lato del marciapiede. Una macchina scura, lucente, e sul muso una B argentea in mezzo a due ali spiegate, un' auto da duecentomila euro: una Bentley nera metallizzata, unica in tutta la città! Sentì il ferro infisso nel suo ginocchio bruciargli le carni come fosse rovente, e rovente era diventato anche il ferro della mazza da golf che stringeva fra le mani.
Attraversò la strada trascinando la sua gamba e, giunto vicino all' auto, iniziò il suo lavoro, metodicamente, cominciando dai fari e proseguendo con il resto della vettura.

Le prime luci rosee dell' aurora iniziarono ad annunciare l'alba, e Gustavo si sedette al posto di guida del suo motofurgone APE, depose con cura accanto a sé la mazza da golf e dette un colpo di pedivella per avviare il motore da 150cc. Pensò di aver fatto veramente un bel lavoro, e che i suoi concorrenti robivecchi sarebbero stati felici, fra poco, di trovare lì ammucchiati tutti quei rottami, pronti per essere portati via.
Lui non prese nemmeno una vite ma, ruotando la manopola del cambio, ingranò grattando la prima marcia e se ne andò, canticchiando allegramente:
"Gamba-de-legno, muso-de-ragno ..."

6 ottobre 2010

Contessa

Da: Il Sole 24ORE


Il premier: modifica articolo 41 è vera rivoluzione

La modifica dell'articolo 41 della Costituzione sulla libertà d'impresa, al vaglio del governo, è una «vera e propria rivoluzione che darà una spinta molto forte a chi vuole dare vita a nuove iniziative». Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, intervenendo telefonicamente al convegno della fondazione Liberamente in corso a Moniga del Garda (Brescia), è tornato a ribadire l'importanza di ridurre i vincoli a favore della libertà d'impresa. Il premier ha spiegato che l'iniziativa dell'esecutivo farà si che «non prevalgano i nemici della libertà, del bene e dell'impresa». Berlusconi ha , invece, definito «ridicola» la proposta di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie; «Credo di aver reso un buon servizio al mio Paese anche in Europa, con il veto sulla tassa sulle transazioni finanziarie che, se fosse stata approvata solo dall'Ue e non dagli altri grandi Paesi, avrebbe spostato negli Stati Uniti o altrove le transazioni».






Tor Bella Monaca: quartiere popolare alla periferia Est di Roma.

Romolo era seduto accanto al finestrino e osservava il sole ormai basso filtrare a malapena attraverso i vetri sporchi del bus numero 20 che quella sera, come tutte le altre, lo stava faticosamente riportando a casa.
Non poteva fare a meno di pensare che quei raggi, prima di infrangersi sulle lamiere del bus, avevano benedetto gli ultimi bagnanti della stagione estiva sdraiati sul bagnasciuga degli stabilimenti balneari di Ostia, illuminato gli eleganti appartamenti dell' EUR, baciato le terrazze fiorite degli attici che si affacciano su piazza Navona e Trinità de' Monti, scaldato le piscine dei cafoni arricchiti con le loro ville sull' Appia antica e che solo dopo aver sorvolato i quartieri fatiscenti di Torre Maura erano arrivati fino a lui. Immaginò quindi che fosse normale che, dopo un tale viaggio, quei raggi non riuscissero a scaldarlo più di tanto.

Il bus si avventurò per via dell' Archeologia e finalmente Romolo vide il palazzo in cui abitava, un enorme drago di cemento, alto nove piani e lungo quasi due chilometri, un serpentone marino sdraiato a zig-zag sulla campagna ad Est di Roma. Le sue centinaia di finestre luccicavano come squame rossastre e dietro di esse migliaia di esseri umani brulicavano come formiche, ognuno con la sua storia, i suoi sogni e le sue illusioni. Conosceva bene il suo quartiere ed il degrado che lo pervadeva. Sapeva dove le ragazze di strada, poco più che adolescenti, aspettavano i loro clienti, oppure gli slarghi dove si riunivano gli spacciatori. Alcuni di essi erano compagni di scuola di suo figlio e lui era terrorizzato all' idea che Righetto potesse un giorno fare quella fine o che potesse unirsi ad una di quelle bande giovanili che scorrazzavano per il quartiere a caccia di extracomunitari da picchiare, così, soltanto per riempire il vuoto dei pomeriggi in borgata.

Righetto frequentava ora le scuole medie e Romolo lo vedeva molto cambiato rispetto ad un anno prima, sembrava più adulto rispetto alla sua età. Aveva iniziato a vestirsi come tutti gli altri ragazzi del quartiere: jeans larghi portati all'altezza del sedere, berretto con visiera accartocciata, capelli a spazzola. Romolo ricordava ancora i propri anni giovanili, quando lui ed i suoi amici portavano i capelli lunghi, noncuranti degli sguardi critici degli adulti, simbolo di una generazione di sinistra che anelava alla rivoluzione come soluzione radicale alle ingiustizie e allo "sfruttamento del ceto proletario". Ricordava quando una testa rasata identificava il nemico da combattere, lo squadrista di destra da cacciare dal quartiere. Rammentava il suo entusiasmo giovanile, gli ideali che credeva non lo avrebbero mai abbandonato, i cortei ai quali partecipava con i suoi amici cantando canzoni di lotta.
Ed ecco ora come era finita la sua rivoluzione: in un autobus fatiscente, dopo una giornata di lavoro precario sottopagato, con la testa appoggiata al finestrino ed un gelo nell'anima che un sole esausto non riusciva a scaldare.

Gli ci vollero ancora tre fermate, tanto era lungo l'edificio, prima di avvistare le finestre del suo appartamento. Quella della cucina era illuminata, e lui sapeva che Anna, sua moglie, era lì, intenta a stirare mentre attendeva il suo ritorno. Scese dall' autobus e a testa bassa si infilò svelto nel portone, salendo poi a piedi, lentamente, i quattro piani di scale che lo separavano dal suo appartamento, rinunciando all' ascensore, guasto da tempo immemorabile. Giunse dinnanzi alla porta di casa, attese qualche istante e poi, dopo aver indossato il solito sorriso rassicurante, suonò il campanello.
- Ciao papà!! - esclamò la piccola Barbarella saltandogli al collo e coprendolo di baci come faceva sempre quando mirava ad ottenere qualcosa. Tirò un respiro profondo e poi, spalancando gli occhi, iniziò tutto d'un fiato:
- Papà, che me lo compri lo zaino novo? Io ciò ancora quello de dù anni fa che s'è sgarato tutto e poi quella stronza de Pina la compagna mia de banco me l' ha 'mpataccato tutto co' l'inchiostro che io glie l'avevo detto a quella scema de nun mozzicà la penna ma lei gnente così ha scassato er tubbetto e quanno che l' inchiostro gliè finito in bocca ha cominciato a sputa' dappertutto che poi a me m'è annata pure bene che ciò rimesso solo lo zaino ma alla maestra glià macchiato la gonna bona quella verde plissettata.-

Barbarella riprese fiato per un attimo, poi continuò:
-Hai da vede che faccia ha fatto la maestra, sembrava che glie stava a di' li mejo morti pe' telepatia! Capirai, glie doveva piace' veramente quella gonna, visto che se la metteva quasi tutti i giorni. Comunque, secondo me, ciaveva solo quella de gonna, pure perché se lamenta sempre che pija 'no stipendio da fame pe' corpa de ... come dice? Ah si, "quella zoccola der ministro" ... a proposito papà, ma che è un ministro? -
- Lassa perde, Barbarè, che papà te lo compra lo zaino novo, nun te preoccupa'. Però tu cerca de anna' bbene a scola e de nun di' parolacce, capito?-
-Grazzie papà! Nun te proccupa' ché io so' brava a scola e poi cor ciufolo che me ce metto più allo stesso banco co' quella triglia rincoglionita de Pina.-
Romolo non ce la fece a trattenere un sorriso, stavolta sincero, e si diresse verso la cucina.

- Ciao Romole'! - lo salutò sua moglie con la consueta allegria - Tutto bene?-
- Tutto a posto Nannare'. E Righetto? Com'è che nun sta a gioca' co' la playstation come ar solito? Che deve ancora fini' li compiti?-
- No, li compiti l'ha fatti. Solo che se vergogna de fasse vede' perché a scola l' hanno sospeso pe' un giorno. -
- L'hanno sospeso?! E perché? -
- Pare che s'è menato co' un compagno de scola e l'ha corcato de brutto, ma nun m'ha voluto racconta' er motivo. -
- Lo so io perché! - esclamò Romolo, - Perché sta a diventa' un bullo come tutti i ragazzi de 'sto quartiere, ecco perché, ed é tutta corpa mia che ve ciò portati a vive... Ma mò me sente! -

Aprì la porta della stanza dei ragazzi e nella penombra vide la sagoma di suo figlio, seduto accanto alla finestra, che osservava pensieroso la strada.
- Allora?- esordì Romolo, - che é mò 'sta novità? Te sei messo a mena' le mani come un teppistello da du' sordi? E' questo che t'ho 'mparato?-
- No papà, nun è così... ecco... è stata corpa ... der 41.-
- De che? Ma che me stai a pija' per culo? Guarda Righe' che nun è aria, che a quest' ora a me nun me va proprio de scherza'!-
- Mò te spiego. Vedi, la professoressa de italiano oggi cià parlato della Costituzzione, del fatto che fu scritta dopo la caduta der fascismo coll'intenzione de evita' che potesse torna' 'no stronzo a di' che commanna tutto lui. Poi cià spiegato pure che quei capoccioni, li padri della Costituzzione, nun hanno penzato sortanto a dettare i principi di base, er diritto ar lavoro, alla salute, all'istruzzione, all' informazzione, alla possibbilità de radunasse pe' parla' de politica e de tutto quello che te pare, alla legge uguale pe' tutti, ma hanno pure escoggitato dei sistemi di autoprotezzione della Costituzzione stessa, come nei firm de Indiana Jones, proprio pe' evita' che un giorno arivasse 'na testa de cazzo qualsiasi che, credendose de esse n'artro Musolini, potesse di': "Mò cambio la Costituzzione e faccio come me pare!"
Pe' questo la Costituzzione pò esse cambiata solo dar Parlamento co' la maggioranza de du' terzi, o sinnò deve esse cambiata dar popolo co' un referendum...-
- Guarda Righe' che a scola ce sò annato pure io e la conosco la storia della Costituzzione!-
- Sì, ma io nun la conoscevo! Me penzavo che fosse 'na cosa noiosa scritta da quattro vecchi rincoglioniti, e invece erano proprio furbi come fiji dé 'na mignotta!-
- Avevano fatto la Resistenza, Righe'. Avevano visto che brutta faccia ciaveva la dittatura e come era stata ridotta l' Italia, perciò se la so' studiata bene prima de promurgalla. Ma che c'entra questo co' la storia de 'sto 41 e co' la rissa?-
-Er 41 sarebbe st'articolo qua...- e aprendo un libricino iniziò a leggere, schiarendosi la voce:

"L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. "

- Me pare giusto, - commentò Romolo - vor dì che ogni persona cià il diritto di soddisfare il proprio bisogno di migliorare e svilupparsi come meglio vuole, utilizzando le proprie capacità, ma che i modi che sceglie non devono essere però in contrasto con il bene della collettività e dei singoli che la compongono, visto che é nella collettività, cioé nello Stato, che lui opera, sinnò torneremmo alla legge della giungla dove chi cià li denti più lunghi magna e poi a furia de magna' tutti l'artri, se morirà de fame perché c'è rimasto solo lui. Ma che c'entra questo co' la sospensione?-
- C'entra perché la professoressa, pe' spiegacce come se pò cambia' la Costituzzione, ha fatto l' esempio de 'sto articolo 41, che quelli che stanno ar governo vorebbero cambia', pe' stimola' la libbera impresa, dicheno loro. -
- A Righe', tu lo sai come la penso io su sto governo, no? Perciò, si vogliono cambia' st'articolo, sta sicuro che c'é la fregatura pe' chi lavora.-
- E' quello che ho detto pure io! Già Tremonti ha cominciato a di' che la legge 626, quella sulla sicurezza sur posto de lavoro, é un lusso che nun se potemo più permette. Adesso vonno modifica' pure la Costituzione co' la scusa che così é più semplice apri' un'attività, come si la burocrazia esistente fosse corpa della Costituzzione e non delle leggi che fanno loro. Ma te l'immaggini che pacchia pe' la mafia pote' ricicla' i capitali sporchi in imprese senza controlli? Qui co' la scusa della concorrenza della Cina, vonno fa' piazza pulita dé tutti i diritti che i lavoratori se so' guadagnati nell' anni! -
Romolo guardò suo figlio attonito. Non lo aveva mai udito pronunciare simili discorsi. Lo aveva lasciato un bambino dedito ai videogiochi e lo ritrovava un ragazzo con una maturità inaspettata. Come aveva fatto a perdersi quel passaggio, dove era lui mentre suo figlio scopriva se stesso?
- Righe', so' tutte cose giuste quelle che hai detto, ma nun m'hai ancora spiegato perché te sei menato co' quell' artro ragazzo.-
- Quello è er fijo der costruttore, quello ammanicato ar Comune. Quanno m'ha sentito che dicevo quelle cose, ha detto davanti a tutti che parlavo così solo perché ero fijo de n'operaio sfigato e scanzafatica capace solo de sciopera'.
Allora ho visto tutto rosso, così gliò dato 'na crocca in bocca e glie sò salito sopra co' li piedi. La professoressa voleva mette tutto a tacé, ma poi é entrato er preside e... er resto lo sai.-

Romolo esitò, un turbinio di sensazioni gli avevano bloccato i pensieri. L' unica cosa che riuscì a dire con un filo di voce fu:
- Sì l'hai fatto pe' me, hai sbagliato e nun lo fa più. Ma sì l'hai fatto pe' un principio...-
Non terminò la frase. Uscì barcollando dalla stanza e, all' improvviso, esclamò a voce alta:
- Nannarè, ragazzi, vestiteve bene che stasera ve porto a cena in trattoria! Sbrigateve, che io v'aspetto de sotto! -
Si chiuse la porta alle spalle inseguito dai gridolini di gioia di Barbarella e dalla voce allegra di Anna che incitava Righetto a fare presto.

Uscì nella strada. Il sole rosso del tramonto lo inondò di luce e Romolo sentì stranamente un calore invaderlo come da tempo non ricordava. Il suo quartiere gli si rivelò improvvisamente splendido e abitato da gente perbene .

Si sedette sulla panchina in mezzo al giardinetto spelacchiato e, alzando lentamente il pugno verso il cielo, ad occhi socchiusi liberò dal suo cuore, dopo tanti anni, le parole di una vecchia canzone.