18 febbraio 2010

La pietra dello scandalo



Da: Corriere Della Sera.it

Dodicenne americana portata via dagli agenti davanti ai compagni di classe come una criminale. E' già polemica


MILANO - E' stata fermata dai poliziotti che l'hanno portata via dalla sua scuola in manette, incuranti delle sue lacrime e grida di disperazione. L'hanno trattata da vera criminale, nonostante abbia solo 12 anni. E nonostante il suo reato consista nell'avere scritto con un pennarello verde «Amo i miei amici Abby e Fait. Lex è stata qui il 2/1/10» sul banco di scuola. Una colpa che non le è costata un semplice richiamo, una nota ai genitori o una ramanzina da parte del preside. Alexa Gonzales, una giovane studentessa della Junior High School di Forsest Hill, nello stato di New York, non è finita in carcere ma ha dovuto subire qualcosa che per un'adolescente come lei è forse peggio: l'umiliazione davanti a tutti i compagni di classe.

ECCESSO DI ZELO - La storia è raccontata dal sito Internet dell'emittente americana Cnn, che punta il dito contro l'eccesso di zelo con cui le autorità scolastiche interpretano la cosiddetta «tolleranza zero». Negli istituti americani si registrano numerosi casi di violenza ed è noto che nelle diverse scuole siano all'ordine del giorno metal detector e vere e proprie "ronde" da parte di sorveglianti. Questi ultimi, in molti casi, sono associati proprio alle autorità di polizia municipale con cui lavorano a stretto contatto. Ma dall'essere quasi poliziotti al fare intervenire i veri agenti per portare via una ragazzina che ha lasciato una scritta sul banco (alzi la mano chi non lo ha mai fatto....) ce ne corre. O, almeno, dovrebbe. Invece la storia è arrivata ai media e ora negli Usa si riapre il dibattito sui metodi di controllo e di prevenzione della micro-criminalità giovanile.

COMMENTA la notizia
18.0219:01

Arthur_Dent
Esistono delle regole? Si? Vengono rispettate? No? Peccato. Concordo che tale trattamento sia durissimo e, probabilmente, traumatizzante. Ma sono certo che la ragazzina la prossima volta ci penserà non una ma due volte prima di "vandalizzare" il banco di scuola. Ed altrettanto faranno i suoi compagni.
Ah, a proposito... sono con la mano alzata. Non ho mai fatto scritte sui banchi, sui muri o roba simile. E certi comportamenti sono incivili sempre, anche se adottati da molte persone.







Le cinque del mattino lo svegliarono, come tutte le mattine, e come tutte le mattine, sedendosi sul bordo del letto, allungò la mano verso la vecchia sveglia posta sul comodino, giusto in tempo per tarparne il trillo un attimo prima che il meccanismo scattasse. Anticipava sempre la vecchia sveglia, ereditata tanti anni prima da sua madre. L'abitudine gli impediva di addormentarsi senza averla attivata, ma il suo carattere lo obbligava a spegnerla prima che suonasse. Non avrebbe sopportato un eventuale rimbrotto dai suoi vicini.
Infilò ai piedi le sue vecchie pantofole, prima la destra poi la sinistra, come sua abitudine. Come sempre, aveva preparato la caffettiera sin dalla sera prima, così gli bastò accendere il gas, prima di recarsi nel bagno. Si insaponò con cura il volto col pennello da barba, come faceva sin da quando suo padre, cinquant'anni prima, gli aveva regalato il suo primo rasoio moderno a lamette intercambiabili Gillette.
-Da oggi in poi sbarbati bene tutte le mattine!-, gli aveva detto suo padre, -non voglio che mio figlio assomigli a un rivoluzionario puzzolente!-.
L'acqua fredda del rubinetto gli sciacquò via i resti del sapone e del sonno, ed il caffé nella vecchia tazzina gli scaldò lo stomaco.

Spense il lumino che teneva acceso per tutta la notte sotto la foto dei suoi genitori. Suo padre, vecchio maresciallo dell'Arma, era stato il comandante della locale stazione dei carabinieri ed era, nel ritratto, vestito della sua uniforme di ordinanza, aspetto fiero ed orgoglioso, semper fidelis in ogni momento della sua vita. Sua madre, ex maestra elementare, aveva nella foto lo stesso portamento austero e la stessa severità nello sguardo che aveva incusso timore a generazione di alunni, lui compreso, e che egli non aveva mai visto venirle meno, nemmeno negli ultimi istanti della sua vita.

Spazzolò con attenzione le scarpe e si vestì con calma: camicia bianca, cravatta nera annodata alla perfezione e lo stesso completo color fumo di Londra che aveva indossato ogni giorno per quarant'anni, come una divisa, recandosi al suo impiego di temuto e rigoroso professore di Lettere Antiche presso il liceo femminile della sua città, senza mai mancare neppure per un giorno.

Aprì le persiane del salotto, uscì sul balcone che dava sul viale e si concesse la sua unica sigaretta giornaliera, fumata senza aspirarne a fondo il fumo. Con lo sguardo ripercorse tutto il viale lastricato di porfido, come faceva tutte le mattine, con il piacere di ritrovarne ogni dettaglio esattamente come lo aveva lasciato il giorno prima: giù in fondo, nella piazza, la fontana pubblica, con la targa commemorativa dei soldati caduti durante la Grande Guerra, e più in qua il negozio del tabaccaio, con la sua insegna, una grande T bianca, scrostata dal tempo.

A seguire, l'ufficio postale dove si recava a riscuotere la pensione tutti i primi lunedì del mese, il fruttivendolo, l'agenzia delle assicurazioni, il grande palazzo un tempo del principe Torlonia, ora sede della sua ex scuola. E poi le aiuole comunali, il comando locale dei Carabinieri con a fianco la banca e il chiosco dei giornali, ancora chiuso a quell'ora. E la rassegna continuava, snocciolando come grani di un rosario la sequenza degli eleganti negozi intervallata dai portoni dei vecchi palazzi fine ottocento, antichi, ma immacolati nel loro aspetto esteriore. Non un manifesto nè un cartellone pubblicitario ne deturpavano l'altera bellezza.

Gli piaceva passare in rassegna il suo viale aspettando l'alba, perché solo a quell'ora, libero dal traffico di mezzi e genti, riusciva indisturbato a coglierne tutti i dettagli e a godere del senso di ordine e pulizia che ne riceveva. Usciva raramente di casa, lo stretto indispensabile per le necessità quotidiane. Non amava mischiarsi tra la gente, non vi era abituato e non sopportava di assistere alla sciatteria, alla mancanza di rispetto per le regole, che gli sembrava dilagare nella società come Vandali al di sotto delle Alpi.

Persino una cicca di sigaretta gettata in terra gli sembrava uno sgarbo recato al suo viale e a lui personalmente. Per non parlare poi del vociare querulo dei passanti, dei richiami dei venditori al mercato o dell'affronto alla morale rappresentato dalle vesti attillate o dalle gonne corte delle ragazze moderne, che passeggiavano mano nella mano con dei bellimbusti altrettanto sfrontati, biasimevole esempio della decadenza morale dei tempi.

Anch'egli era stato giovane, ovviamente, ed anch'egli a volte aveva fantasticato di romantiche storie d'amore, magari con giovani ragazze il cui sguardo aveva fuggevolmente incrociato per strada, ma il pensiero di come avrebbe reagito sua madre se ne fosse venuta a conoscenza era sufficiente a sgombrare quei pensieri dalla mente così come il vento di maestrale spazza via le nubi dai cieli di Aprile.

E così si ritrovò anche quella mattina, in piedi sul balcone, con le mani appoggiate alla ringhiera, a godersi il suo mondo, il suo viale, ad assaporarlo ad occhi chiusi, immaginandoselo nei minimi dettagli, con la rassicurante soddisfazione, una volta riaperti gli occhi, di riscoprirlo esattamente come se lo ricordava. Metro dopo metro, mattone dopo mattone, riconosceva ogni dettaglio, a partire dal palazzo comunale fino al muro di cinta del chiostro del convento dei frati, proprio dinnanzi alla sua casa, con l'edera, che ne ricopriva una buona parte, e le feritoie con le grate in ferro battuto, ed il portoncino in legno con la piccola campana da suonare per farsi aprire dal sacrestano.

Eppure quell'armonia, quello spartito musicale che lui leggeva e rileggeva tutte le mattine, giunto a quel portone, da qualche giorno aveva una nota stonata, come di una canna d'organo che sfiatasse nel mezzo del crescendo di una fuga di Bach: una scritta, un disegno a vernice rossa, deturpava il muro come uno sfregio ad un dipinto di Rembrandt. Un cuore, un mieloso, patetico, sfrontato cuore rosso, trafitto dalla classica, banale freccia di Cupido e al di sotto una scritta, redatta con una calligrafia incerta, segno evidente di una mente ottusa e priva di fantasia:
-Gianni e Laura per sempre!-

Quella stecca lui era costretto ad ascoltarla ogni mattina, affacciandosi al balcone della sua casa come da un loggione alla Scala. Più volte si era recato dal frate priore, chiedendogli di porre rimedio, di cancellare quel disegno osceno, offesa recata alla bellezza e alla morale, ma il parroco gli aveva sempre risposto con le stesse parole:
-L' amore é vita e chi é senza peccato scagli la prima pietra-.

Più tardi quella domenica, nella chiesa attigua al convento, il priore rivolgeva ai fedeli il suo sermone, che quel giorno verteva sul sacramento della penitenza e del perdono. Il frate si era pericolosamente inoltrato in una dotta disquisizione sulle figure delle Marie, e di come fosse sempre stato difficile distinguere quella di Magdala dalla Maria di Betania, questione che vide diversi papi contraddirsi, partendo da Gregorio Magno per arrivare al Concilio di papa Giovanni e Paolo VI. I fedeli resistevano a stento al torpore che stava facendo breccia nelle loro coscienze, ed il priore era giunto a narrare per l' ennesima volta la storia della penitente salvata da Gesù dalla lapidazione, figura spesso sovrapposta alle prime due.

Fece appena in tempo a ripetere la frase pronunciata dal Salvatore
-Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la sua pietra-, quando un oggetto, successivamente identificato come un cubetto di porfido evidentemente asportato dal selciato, fu visto partire dal limite del sagrato.
Entrò dal portone, sorvolò l' intera navata centrale e, disegnando una parabola perfetta, arrivò ad impattare con precisione la fronte del priore, che rimase per un attimo lì, in piedi, attonito e con la bocca aperta, appoggiato alla balaustra del pulpito, prima di effettuare una rotazione di centottanta gradi intorno al bacino che lo portò a crollare a testa all'ingiù sull' ignaro organista che aspettava sonnecchioso il momento del Laudate Domine.

I fedeli, sgomenti, cercavano intanto di capire cosa stesse succedendo; le donne con il velo sul capo, disposte sul lato destro della navata, si segnavano ripetutamente invocando la protezione della santa, Maddalena, Betania o adultera che fosse. Gli uomini, sul lato sinistro, osservavano indispettiti la scena, timorosi che l'inconveniente potesse protrarre per le lunghe la celebrazione, ritardando il momento dell'osteria. All' improvviso, una voce si alzò dal fondo della navata ed un uomo, con un vestito color fumo di Londra, fu udito pronunciare le seguenti parole:
-Io lo sono! E tu, frate, togli quella cazzo di scritta dal muro!-

13 febbraio 2010