13 ottobre 2011

Martina



Da: Corriere.it
Il caso in una scuola elementare in Basilicata

Via la bimba down dalla foto di classe
Una foto di classe con la bambina down, come ricordo della quinta elementare per lei e per la sua famiglia. Un'altra «ripulita» per il resto della classe, senza la compagna sfortunata. Ma con la sua insegnante di sostegno in posa vicino alle colleghe. Tutti sorridenti e contenti dentro la cornicetta regalata ai bambini. Succede a Senise, provincia di Potenza, settemila abitanti.".

L'automobile nera di grossa cilindrata accostò silenziosa davanti al cancello della scuola elementare, con qualche minuto di ritardo rispetto all'uscita degli alunni. Nel piazzale assolato, Camillo stava ingannando felicemente il tempo giocando a ruba bandiera con una sua compagna di classe dalle trecce nere, sotto lo sguardo vigile di Emilio, il bidello, e quello allegro della madre della bambina, che reggeva il fazzoletto bianco.
Lo sportello posteriore dell'auto si aprì, ed una voce femminile ne uscì, perentoria:
- Camillo, sali subito in macchina! Andiamo a casa! - Camillo rivolse uno sguardo triste verso Emilio e la sua compagna di classe e, presa la sua cartella, si diresse a testa bassa verso l'automobile, mentre la bambina lo salutava. - Guarda mamma, oggi ci hanno dato la foto della classe. -
Sua madre esaminò la foto poi, rivolgendosi al bambino:
- Camillo, penso proprio che sia ora di cambiare registro, di reagire. - disse la donna, strappando in due la foto sotto gli occhi attoniti di suo figlio, - E' ora di svegliarsi. -

- Signor Camillo! Signor Camillo, si svegli! Faccia uno sforzo, reagisca! -
Non era più la voce di sua madre che gli parlava. Non era più a scuola. Si sentì come portare via, come risalire da un pozzo senza fine, finché il muro che lo isolava dal mondo non si sbriciolò, ritrovando pian piano la strada dei sensi. Capì che non si trovava più nella sala grande della Northern Investment Bank, dove stava presiedendo il consiglio di amministrazione. Ricordò che stava riassumendo ai consiglieri le linee guida strategiche riguardanti la pacchettizzazione dei nuovi hedge funds da porre a breve sul mercato e nei quali diluire una enorme quantità di titoli tossici comprati a prezzi stracciati sul mercato azionario. E proprio mentre prospettava al consiglio gli enormi guadagni che ne sarebbero derivati, provò un dolore alla spalla e il respiro gli mancò all'improvviso, dopodiché il mondo si spense. Ora era disteso in posizione supina e qualcosa gli premeva sul volto. Tastò con la mano la mascherina per l'ossigeno che lo aiutava a respirare, e capì che non riusciva a muovere il braccio sinistro. Socchiuse lentamente gli occhi rendendosi conto che qualcuno glielo aveva legato al letto con della garza, probabilmente per evitare che inavvertitamente si strappasse via l'ago della flebo dalla quale un liquido biancastro gocciolava lentamente nella sua vena. La voce proveniva da una corpulenta infermiera che lo osservava in piedi mentre tutto intorno diverse apparecchiature di monitoraggio erano connesse al suo corpo con una miriade di elettrodi.

Passò più di un mese in quella costosa clinica specializzata in riabilitazione post-infarto, e finalmente arrivò il giorno del suo ritorno a casa. Seduto su una sedia a rotelle, fu aiutato dai suoi domestici a rientrare nel suo lussuoso attico a Milano, a due passi da Piazza Cordusio. Si spinse lentamente fino al suo studio e, congedando il maggiordomo con la richiesta di non essere disturbato, si chiuse lentamente la porta alle spalle. Inalò con lentezza l'odore di legno, tabacco e cuoio del quale lo studio era impregnato, con le sue pareti rivestite in pregiato rovere di Scozia e le poltrone in pelle italiana tamponata a mano. La libreria in legno di mogano alla sua sinistra ricopriva completamente tutta una parete, fino al soffitto, e sui ripiani erano disposti tomi di legge, filosofia e sociologia, codici di diritto pubblico e commerciale delle principali nazioni occidentali, nonché una miriade di trattati economici e finanziari, che coprivano tutto lo scibile umano in materia, da una rarissima versione originale dell'"Economico" di Senofonte, passando per "La ricchezza delle Nazioni" di Adam Smith, e poi Marx, Pareto, Keynes, Modigliani, Friedman e tutte le pubblicazioni dei premi Nobel in economia. Dalla finestra al centro della parete di fronte, posta dietro alla sua pregiata scrivania intarsiata in oro, si godeva il panorama di Milano e del suo cuore finanziario, Piazza Cordusio, oggi Piazza Affari, dove la Borsa e i principali istituti bancari, assicurativi e finanziari si fronteggiavano austeri.

La parete alla sua destra era invece tappezzata da quadri d'autore, e ritratti di famiglia, con al centro sua madre, Aurelia Vergori della Peruta, figlia di uno dei più importanti banchieri del Nord Italia. Fu lei che aveva indirizzato i suoi studi fin dall'infanzia. Gli aveva fatto frequentare le migliori scuole private di Milano, e poi la Bocconi ed il Master in Applied Macroeconomics conseguito alla Yale University. Aurelia era una donna volitiva ed influente e la rete di conoscenze ereditate dal padre, le aveva permesso di assicurare a suo figlio una carriera folgorante ed ora Camillo, a cinquant'anni, era il Presidente, nonché azionista di maggioranza, del principale istituto finanziario italiano. C'era stata solo quella breve parentesi della prima elementare, iniziata in una scuola pubblica per volontà di suo marito, il padre del bambino, che riteneva utile per Camillo la socializzazione con bambini di una diversa estrazione sociale. Idee anarco-rivoluzionarie, le aveva definite sua madre, e ben presto Camillo si trovò in un istituto scolastico gestito da religiose. I suoi titoli scolastici e universitari erano anch'essi appesi alla parete, ma lo sguardo di Camillo non si spostava da una piccola cornice consunta, con dentro una fotografia, in basso, vicino all'angolo con la finestra. Non aveva smesso di pensare a quella foto fin dal momento in cui aveva ripreso conoscenza in sala rianimazione.

Spinse lentamente e con fatica la sua sedia a rotelle verso quell'angolo e prese la fotografia, una classe di bambini sorridenti con tanto di grembiulini, fiocchi e bianchi colletti inamidati con al centro una maestra altrettanto sorridente. Una unica nota stonata nel gruppo: un bambino con la faccia seria e lo sguardo rivolto verso il basso. Camillo esaminò per un attimo quella foto poi, con un gesto rapido, ruppe il vetro della cornice contro l'angolo dello scrittoio e tirò via la foto lasciandola cadere sul pavimento di marmo. Con delicatezza, poi, estrasse un'altra foto dalla cornice, che era stata evidentemente nascosta sotto la prima. Una foto sgualcita, strappata a metà e poi riparata alla meglio con dei pezzi di scotch applicati da una mano incerta, come può essere quella di un bambino. Una foto quasi identica alla prima, la stessa classe, la stessa maestra, ma qui Camillo era sorridente, seduto mano nella mano accanto ad una bambina allegra, con le trecce nere ed il volto vagamente orientaleggiante.

- Martina... - mormorò Camillo, col fiato che si faceva sempre più corto.

12 maggio 2011

Handala, erba amara

"Ma Sara vide che Ismaele, il figlio di Agar l'Egiziana, quello che essa aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco. Disse allora ad Abramo: «Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco». ... Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre di acqua e li diede ad Agar, caricandoglieli sulle spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Essa se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea."

Da: The Palestine Post

Sunday, May 16, 1948


STATE OF ISRAEL IS BORN
"Jews take over security zones"
The creation of "Medinat Yisrael", the State of Israel, was proclaimed at midnight on Friday by Mr. David Ben Gurion.
The first act of the Council of Government, as announced by its head, was to abolish all legislation of the 1939 White Paper of the late Mandatory Power, particularly the Ordinances and Orders relating to immigration and land transfer.


Il chiarore del sole stava appena iniziando a farsi strada tra le ombre della notte, in lontananza, aldilà delle cime del monte Nebo, quando il muezzin della moschea di al-Aqsa liberò il primo dei quattro takbir dell'adhan del mattino. Il richiamo alla preghiera scivolava giù, come una cascata, per le mura del Tempio, raggiungeva la città vecchia ed i quartieri arabi di al-Qud, la Santa, come gli arabi chiamano Gerusalemme. Sorvolava il quartiere cristiano ed i luoghi dove un tempo sorgeva il quartiere di Mughrabi, il quartiere marocchino, abbattuto per creare la piazza di fronte al Muro del Pianto, dove gli Ebrei pregano il loro dio. E ancora più a Sud il canto inondava come un fiume in piena il quartiere giudeo e giungeva fino al borgo di Silwan verso il quale Halima rivolgeva lo sguardo sin da quando era uscita di casa, nel pieno della notte, per recarsi sul monte Moriah ed andarsi a sedere al margine meridionale della spianata delle moschee, dove suo padre la portava spesso a giocare da piccola. Le era sempre piaciuto quel posto, colmo di aromi, di profumo di agrumi portato da lontano dalla brezza del mare, di fragranza sparsa dal carrettino del venditore di ataef, che ogni volta le regalava uno di quei dolci di pasta, ripieni di noci e mandorle, chiedendo in cambio soltanto un sorriso a quella bambina dallo sguardo triste.

Perché, se un pittore avesse voluto rappresentare la tristezza in un dipinto, l'avrebbe sicuramente trovata negli occhi di quella bambina, trovandovi sua madre, con in braccio suo fratello Naji, piangente di fronte alle macerie della sua casa e suo padre, una giovane quercia di quarant'anni, improvvisamente trasformato in un vecchio di fronte all' orrore del suo uliveto distrutto dalle ruspe sioniste. Non si erano accontentati di abbattere e frantumare con i cingoli quegli alberi secolari, amati, curati e coltivati da generazioni e generazioni, ma avevano anche dato fuoco ai resti e cosparso di sale il terreno. Solo il vecchio albero di sicomoro, attorno al quale era stata costruita la loro casa, era rimasto in piedi ed aveva loro offerto rifugio e consolazione per la notte. Ma il mattino seguente le bande di Begin erano tornate, e lo avevano estirpato con una benna, lasciandoli lì, l'albero e la sua famiglia, agonizzanti, con le radici al sole. Fu così che, il 13 Maggio del 1948, Halima si trasformò da bambina felice del villaggio di Al-Shajara, in uno dei tanti profughi palestinesi scacciati da uno dei tanti villaggi distrutti dai sionisti in quei giorni della Naqba, la Catastrofe. Distrussero le case, si presero le terre e non lasciarono loro nemmeno i cimiteri, nemmeno i nomi dei vilaggi sulle carte geografiche.

Passarono anni nei campi profughi, prima che riuscissero a riguadagnare parte della dignità persa, il minimo necessario affinché Naji potesse cercare di rifarsi una vita altrove e affinché Halima, ormai adulta, potesse andare in sposa ad un brav'uomo che la portò ad abitare nel quartiere di Silwan, nella parte araba di Gerusaleme, nella casa che era stata della sua famiglia sin da quando era stata costruita. Lì Halima aveva pian piano restituito un senso alla propria vita, e suo figlio Ismail, crescendo, assomigliava sempre più a suo nonno, morto ormai da tanti anni. - Qui siamo al sicuro - ripeteva Halima a suo figlio, - questa zona è araba, lo ha detto l'ONU-. Ma quel giorno di Luglio bussarono alla sua porta, e degli uomini irruppero nella sua casa, spintonando suo figlio e sventolandole sotto il naso dei fogli di carta scritti in ebraico, dove dicevano che c'era scritto che quella casa non era la sua, che non aveva il diritto di stare lì, che l'avrebbero abbattuta insieme alle altre del quartiere, per costruirvi i nuovi giardini di Re David. Ventiquattro ore di tempo le avevano dato per togliersi di mezzo, lei e suo figlio. Quella notte, Halima udì Ismail alzarsi lentamente, in silenzio. Era un uomo ormai, era cresciuto in fretta, come tutti i ragazzi palestinesi, e parimenti agli altri era cresciuto come l'handala, l'erba amara del deserto, che puoi puoi provare ad estirpare, ma lei resiste e rinasce più forte di prima. Halima ricordava ancora i tempi della propria infanzia, quando non esistevano muri o fili spinati che impedissero ai bambini, palestinesi, ebrei o cristiani che fossero, di giocare fra loro. Ma ora tutto era cambiato, e in quella terra, che un tempo assicurava a tutti la serenità, ora regnava solo odio e violenza. E fu un odio feroce che Halima lesse negli occhi di suo figlio, mentre quella notte si lavava e sbarbava accuratamente, indossava indumenti puliti e la tunica bianca con la quale suo padre aveva sposato sua madre. Poi si inchinò a pregare Allah, a lungo, prima di uscire di casa.

Lei gli si precipitò dietro, ma Ismail era nel frattempo già sparito nel buio dei vicoli di Silwan. Così Halima si era recata sul monte Moriah per pregare Allah che gli riportasse suo figlio, che non lo trasformasse in un martire.
Hayya ʿalā al-ṣalāh, affrettatevi alla preghiera, salmodiava il muezzin, e Halima pregava, con il cuore accartocciato come una foglia in autunno, con il suo volto rugoso e i suoi tristi occhi di bambina fissi verso il borgo di Silwan, con il terrore di vederne arrivare un lampo, di sentirne provenire un boato, di scoprire in suo figlio un nuovo shahìd.
Hayya ʿalā 'l-falāħ, affrettatevi alla felicità, ripeteva la voce dal minareto, ma Halima non ricordava più da tempo cosa fosse la felicità. Allora chiuse gli occhi e improvvisamente vide un bambino, di spalle, scalzo e vestito di poveri stracci, le mani dietro la schiena, che le ripeteva "Non piangere Halima, non piangere sorella mia. Io sono con Ismail."
Halima aprì gli occhi. Suo figlio era lì seduto accanto a lei.
Lā ilāha illa Allāh, recitò l'ultima formula dell'Adhan, mentre il disco del sole completava la sua lotta contro le tenebre e Halima abbracciava suo figlio.

Il fratello di Halima, Naji el-Ali, era stato assassinato due giorni prima, a Londra, mentre usciva dalla redazione del giornale dove lavorava come vignettista.


21 aprile 2011

I cassetti di Scarpaleggera

Da: Repubblica.it
Pdl all'attacco della Costituzione
"Il Parlamento è sovrano assoluto"
Il partito del premier deposita una proposta di legge per riformare l'articolo 1 della Costituzione ribadendo "la centralità del parlamento nel sistema istituzionale della Repubblica".

Da: Il Secolo XIX.it
Proposta Pdl: via la norma che vieta il fascismo
Roma - Abolire la XII norma transitoria e finale della Costituzione che vieta «la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto Partito Fascista»: è quanto chiede un disegno di legge costituzionale depositato al Senato da cinque senatori del Pdl e uno di Futuro e Libertà.

Da: La Stampa.it
Scilipoti copia il manifesto fascista
Nel "programma" dei responsabili intere frasi riprese dal testo redatto
da Giovanni Gentile nel 1925

Da: La Stampa.it
"Troppi libri di storia di sinistra"
Pdl chiede commissione d'inchiesta

Da: The Guardian
Mussolini wasn't that bad, says Berlusconi
"Mussolini never killed anyone," the magazine quoted him saying.
In an interview published yesterday by the Spectator, Italy's prime minister appeared to defend the actions of his country's fascist dictator, Benito Mussolini.
"Mussolini sent people on holiday to confine them."


Mi piace uscire presto la mattina per le strade di San Lorenzo, quando il frastuono del traffico non soffoca ancora i suoni del giorno che nasce, così mi godo i canti dei merli che nidificano nelle siepi dei giardini, l'odore di terra bagnata dalla rugiada, lo sferragliare della serranda del bar che anticipa il profumo del mio caffè mattutino. L'aroma fragrante di cornetti appena sfornati mi trascina al forno del signor Pierino, che conosco da una vita e con il quale mi piace sempre scambiare due chiacchiere, ma solo poche battute, perché capisco come lui sia ansioso di andare a dormire dopo una notte di lavoro. E poi mi dirigo dritto dritto verso l'odore di inchiostro dei giornali appena stampati, l'edicola della signora Gabriella, dalla voce dolce e gentile.
Anche con lei mi piace chiacchierare del più e del meno, mentre passa in rassegna tutti i titoli dei giornali. La signora Gabriella è vedova ormai da parecchi anni, e talvolta mi sembra di trovare nel tono della sua voce una nota di malinconica solitudine, la stessa nota che odo a volte in me stesso. Confesso di avere in almeno un paio di occasioni fantasticato di poter un giorno parlare con lei di qualcosa di diverso dalle solite storie stampate, accompagnato dal suo delicato profumo alla lavanda, ma il senso di caldo rossore che aveva prontamente pervaso le mie guance mi era bastato per salutarla frettolosamente ed uscire, con il giornale infilato nella tasca della giacca, per cercare di camuffare il colore seduto sulla panchina della piazza con lo sguardo rivolto verso il sole del mattino. Rimango lì per una buona mezz'ora, poi, appena in tempo, prima che la città impazzisca, me ne ritorno a casa a passo svelto, percorrendo strade, incroci, marciapiedi che oramai conosco meglio delle mie tasche.
Il giornale non è per me, è per il sor Mariano, il portiere. Lui non può uscire a quell'ora per andarselo a comprare, così io gli faccio il favore di procurarglielo e lui lo legge ad alta voce, mentre io sto seduto accanto a lui in guardiola, sulla vecchia sedia impagliata.
-Grazie assai, don Vincè! Voi siete squisito, come al solito!-
Mi piace, il sor Mariano. E' una persona umile, ma di una cortesia antica. Mi chiama don Vincenzo, come si usa dalle sue parti, e qualche volta anche professore, in ricordo dei miei trascorsi di insegnante di Musica, ma mai Scarpaleggera, come fanno in molti qui nel quartiere.

Scarpaleggera! In realtà il soprannome non mi dispiace molto, in fondo devo quel soprannome al mio passo cauto, ma anche veloce e silenzioso, spesso causa di spavento per i miei alunni che non mi udivano arrivare in classe, andatura che, gradualmente, avevo acquisito da quando ero diventato cieco.
No, il soprannome non mi crea disagio e nemmeno l'oscurità nella quale vivo oramai da più di sessant'anni ed alla quale sono abituato. I colori me li ricordo ancora bene, e anche le forme, immortalati con i miei occhi di bambino curioso e innamorato della vita, spensierato come poteva esserlo un ragazzino cresciuto durante la guerra nel quartiere di San Lorenzo. Quindi mi basta un suono, un rumore od un profumo per ritrovarne l'origine impressa nella mia mente, come se i miei occhi frugassero in un vecchio archivio di fotografie.
Odori di meloni maturi, di pasta e fagioli, di lenzuola appena lavate e stese al sole. E poi i rumori, di noi ragazzi che giocavamo per le strade polverose, dei treni merci che stridendo trovavano la loro strada lungo gli scambi dello scalo ferroviario, delle rondini che garrendo si rincorrevano fra i vicoli e le case.
-Allora, professò, vediamo un po' cosa ci raccontano oggi-, inizia Mariano, inforcando gli spessi occhiali da lettura riparati alla meglio col nastro adesivo.
-Condannati 12 lavoratori Eutelia che avevano occupato la fabbrica.-
-Ah si,- commento - sono quelli che avevano occupato perché i vertici della società l'avevano spogliata di tutti i crediti, procurando bancarotta fraudolenta, non pagando gli stipendi, portando i soldi in Svizzera e scappandosene a Dubai. E adesso sono loro a dover pagare?"-


-Pare proprio di sì. Cornuti e mazziati, dicimme dalle nostre parti. Poi ce n'è un'altra:
Ministro Romani, referendum sul nucleare superato. Rinvio a dopo chiarimento UE sulla sicurezza-.
-Paolo Romani, è l'uomo di Mediaset nel governo, quello che prima ha ritirato i finanziamenti per la banda larga e che ultimamente si é inventato quel decreto contro le energie rinnovabili e il fotovoltaico.-
-Professo', ma voi tenete una memoria straordinaria, meglio di Pico della Mirandola!-
-Non esageriamo, Mariano, è che ho una memoria a cassetti, basta tenerli in ordine.-


-Vediamo cosa mi dite di questa notizia:"Proposta PDL al Senato per l'abolizione della XII Disposizione Transitoria". Ma che cosa è 'sta dodicesima disposizzione, professo'?... Don Vincè, don Vincenzo!? Professore!! Ma che tenite, non vi sentite 'bbuono?-
-Sto bene, Marià, sto bene... è che non mi aspettavo che saremmo arrivati a questo punto, è che mi si sono aperti dei cassetti che erano rimasti chiusi da anni e che speravo di non dover riaprire più.-

I miei cassetti nascosti! Foto in bianco e nero impresse nella mia memoria e che ritornano alla luce. Immagini di squadre fasciste che marciano per il rione, la spedizione punitiva della squadraccia di Italo Balbo, 500 squadristi che uccidono 13 abitanti del quartiere per punirlo di aver attaccato una colonna fascista. E la polizia politica che periodicamente veniva ad arrestare mio padre, antifascista dichiarato. E poi i rastrellamenti, le perquisizioni nelle case alla ricerca della tipografia clandestina dove di nascosto si stampava l'Unità, ben nota a tutti gli abitanti del quartiere, ma mai tradita. Ed infine il bombardamento, le urla di mia madre, la polvere, il crollo della nostra casa, e dopo soltanto il buio, che da allora mi fa compagnia.
-Vedi Mariano, la disposizione XII è quella parte della nostra Costituzione che vieta la ricostruzione del partito nazionale fascista e punisce l'apologia del fascismo. E oggi stanno cercando di farlo risorgere, piano piano, senza dare nell'occhio. Vogliono riscrivere i libri di scuola, vogliono modificare nella Costituzione quelle parti che sono per loro scomode, si scrivono i loro programmi scopiazzandoli da quelli del fascismo, i ministri salutano con il braccio teso, dichiarano che Mussolini mandava la gente in vacanza e non al confino, minacciano marce di milioni di simpatizzanti su Roma se il Presidente non indice le elezioni, descrivono il Parlamento come un'assemblea inutile e pletorica, considerano la stampa, i sindacati e la magistratura come nemici da combattere. Marià, io speravo di morire senza dover rivivere più quegli anni della mia infanzia, ma oggi sta succedendo qualcosa, lo sento. Questi individi che di tanto in tanto se ne escono con proposte di modifiche cosituzionali, non sono degli esibizionisti sprovveduti, sono degli esploratori, sono mandati in avanscoperta per saggiare il terreno, per vedere fin dove ci si può spingere senza provocare una reazione popolare. E ogni volta si spingono un po' più in là, e ogni volta il livello di sopportazione del popolo sale, come la storia della rana nell'acqua calda. Oggi la gente pensa soltanto a se stessa, a salire con i piedi sul prossimo, i lavoratori non hanno più diritti, la crisi economica ci dilania, ai giovani stanno rubando il futuro, il popolo é distratto da mille problemi e loro alzano la temperatura dell' acqua sempre di più, sempre di più.
Mariano, é tutto come allora, tutto di nuovo come allora
.-

-Professò, con tutto il rispetto, a voi la gente vi chiama Scarpaliggiera, ma la vulite sapé 'na cosa? La verità, don Vincè, é che viviamo in un paese di ciechi, e che l'unico che ci vede benissimo siete proprio voi!-

22 marzo 2011

Amor patrio

Da: Repubblica.it
Inno di Mameli alla Regione Lombardia
i consiglieri leghisti vanno alla buvette

Nuovo schiaffo della Lega ai 150 anni dall'Unità d'Italia. A pochi giorni dall'arrivo in Lombardia del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la delegazione del Carroccio ha disertato, come aveva minacciato, l'esecuzione dell'inno nazionale prima del consiglio regionale lombardo.
...


...
il vice di Roberto Formigoni, il leghista Andrea Gibelli e gli altri leghisti, tra cui il figlio di Umberto Bossi, Renzo, preferivano bere tranquillamente un cappuccino con brioche alla buvette della Regione. Tanto da rimanere fuori anche durante il minuto di silenzio per le vittime del terremoto in Giappone.

Un operaio
Sono Futoshi Toba, ho 59 anni. Non avrei mai pensato di dover un giorno raccontare la mia insignificante storia, ma non posso fare a meno di lasciare queste mie parole a disposizione di chi vorrà trarne un insegnamento.
Per quarant'anni ho cercato di servire con onore il mio Paese, ultimamente lavorando alla centrale atomica di Fukushima, fin quando Madre Terra, lo scorso 11 Marzo, non ha punito duramente il nostro orgoglio.
Sapevo bene cosa stava succedendo alle centrali e sapevo anche che mancavano solo tre mesi alla mia pensione, ma improvvisamente ho realizzato che non sapevo più cosa ne avrei fatto di tutto il tempo che avrei avuto a disposizione. Il notiziario ha sconsigliato la popolazione di celebrare lo hanami, troppo pericoloso rimanere all'aperto a contemplare i nostri sakura, anche perché probabilmente essi non fioriranno quest'anno, e forse nemmeno i prossimi. Improvvisamente mi sono visto passare i miei giorni futuri a piangere la mia terra martoriata, a veder morire i miei amici uccisi da un nemico invisibile, a rimpiangere la consolazione di una famiglia che non ho mai avuto. No, non erano questi i miei piani per la mia vecchiaia. Io volevo solo un orto da coltivare, buona verdura da far crescere e regalare ai vicini, ed ora neanche questo potrò più fare. Chi mai accetterà i miei ortaggi, contaminati dalla nostra superbia?
Così, quando il nostro direttore ci ha riuniti ed ha chiesto con le lacrime agli occhi chi di noi conoscesse meglio il reattore numero 4, perché era assolutamente necessario entrare e intervenire al più presto, mi sono fatto avanti. I miei compagni erano così giovani! Loro potranno tentare una nuova vita altrove e potranno pregare il mio Paese di riflettere se questa sia la strada giusta per assicurarci un futuro, mentre io dovevo assolutamente restituire un senso alla mia vita e onore al mio Paese, o a quello che ne restava.

A proposito, non avevo mai visto prima il reattore numero 4.

Un fruttivendolo
Per grazia di Allah il Misericordioso, il mio nome é Mohamed Bouazizi, e sono nato 26 anni fa in una piccola cittadina al centro della Tunisia. Mio padre è morto presto, troppo presto, così dall'età di 10 anni sono dovuto diventare io il principale sostentamento della mia famiglia. Ho anche studiato, sapete, sono arrivato molto vicino a diplomarmi, ma poi ho capito che non era il caso di farsi molte illusioni, meglio puntare su mia sorella più giovane.
Così ho lasciato perdere i miei studi e mi sono impegnato ancora di più nel lavoro che facevo da ragazzino, vendere frutta e verdura col mio carrettino in giro per le strade della mia città. Ho sempre lavorato onestamente e non mi sono mai lamentato, nemmeno quando, e questo avveniva regolarmente sin da bambino, la polizia mi sequestrava la merce dicendo che non avevo la licenza. Io sapevo bene che nessuna legge lo vietava, e che mi perseguitavano solo per estorcermi soldi e divertirsi ale mie spalle, così accettavo le loro persecuzioni come una prova mandatami da Allah il Generoso e continuavo con il mio lavoro, con la speranza, prima o poi, di comprarmi un furgoncino.
Quel giorno mi ero indebitato per acquistare la frutta da rivendere per le vie della città, e quando quella poliziotta mi ha fermato, mi ha sequestrato tutto, ha rovesciato il mio carretto, ha insultato la memoria di mio padre e infine mi ha schiaffeggiato davanti a tutti, qualcosa si è lacerato dentro di me. Sapevo che nessuno mi avrebbe difeso, sapevo che urlare non sarebbe servito a niente. Improvvisamente non avevo più speranze, non riconoscevo più la mia terra, non avrei avuto più il coraggio di guardare mia madre negli occhi. Così ho preso il barattolo di diluente che avevo in casa, mi sono recato nella piazza principale e me lo sono versato addosso.
Dicono ora che le fiamme che hanno divorato le mie carni hanno innescato il fuoco della rivoluzione nel mio Paese, dicono che sono un nuovo Jan Palach, un martire.

In nome di Allah il Testimone, io volevo solo comprarmi un furgone.

Un ragazzo senza nome
Questa é la nostra rivoluzione! Abbiamo deciso noi stessi, in prima persona, di dire basta ad un regime che ci ripeteva cosa essere, cosa volere, quale dovesse essere il nostro futuro. Abbiamo voluto dire basta ad una finta repubblica che si perpetuava da quaranta anni con finte elezioni ed un unico candidato. Questa è la rivoluzione di noi giovani, una rivoluzione senza nome. Ce la siamo costruita, l'abbiamo organizzata da soli, con Internet, per inseguire un sogno, quello di scoprire cosa sia mai questa democrazia della quale abbiamo tanto sentito parlare sulla Rete. Probabilmente scopriremo che non fa per noi, scopriremo che quello che gli occidentali credono essere democrazia non è nient'altro che una ruota da criceti da far girare per tutta la vita, al servizio dei poteri economici, ma anche se fosse così, noi vogliamo scoprirlo da soli. Ci siamo preparati per mesi, iniziando con dei post sui blog e aggregandoci pian piano, come granelli di sabbia, finché ci siamo trasformati in tempesta, prendendoli di sorpresa. D'altra parte, come poteva un regime guidato da un ottantatreenne capire qualcosa di Twitter, di bloggers, di democrazia nella Rete? Così, con loro stupore, ci siamo ritrovati in centomila in piazza Tahrir e quando hanno capito che facevamo sul serio, sono entrati nel panico, hanno cercato di oscurare Internet, di portarci via il nostro tam-tam, ma così hanno firmato la loro fine, perché il popolo ha capito che il regime era confuso, che diventava sempre più debole, che aveva paura e allora la piazza si è riempita di oltre un milione di persone e l'esercito non ci ha attaccato, perché non sapeva come fare.
Solo la polizia, la polizia e la guardia presidenziale, ci hanno affrontato, ma cosa potevano ottenere, oramai? Noi eravamo il nuovo, il giusto, noi eravamo ormai padroni del nostro futuro. Cosa potevano fare? Così, quando li ho visti entrare nel mio quartiere, sono sceso in strada e li ho affrontati, con la forza dei miei vent'anni, del mio coraggio e della mia disperazione. Era la mia rivoluzione, era il mio momento, era l'occasione per restituire al mio Paese la sua dignità e costruire per tutti un futuro diverso, fatto di giustizia e modernità nel rispetto della nostra cultura millenaria.
Quei poveri giovani in divisa, così giovani e così vecchi, non hanno saputo far altro che spararmi al petto, sperando di fermarmi.

Non sapevano che un ragazzo senza nome non può morire.

28 febbraio 2011

Una kampina nel cielo



Quando una canzone vale più di mille parole...

19 febbraio 2011

Il momento della vergogna


Da: Corriere.it
Roma: incendio in campo rom,
quattro bambini morti
Avevano tra i 4 e gli 11 anni, tre maschi e una femmina. Alemanno: «Tragedia colpa della burocrazia»


Da: newnotizie.it
“Rom Raus” e “Rom -4″:
scritte antisemite e svastiche a Roma
All'idiozia umana non c'è limite, men che meno alla vergogna.
Così, a pochi giorni di distanza dal rogo in cui hanno perso la vita quattro bimbi Rom, a Roma è il momento della vergogna.


Tor Bella Monaca, quartiere popolare alla periferia Est di Roma, ore 13:35

Il perentorio ronzio del citofono arrivò improvvisamente fino alla cucina, facendosi strada tra il profumo di ragù appena cucinato.
Come sempre, Nannarella corse a rispondere con un misto di sollievo ed impazienza.
-Si, chi è?-
-Carabinieri, aprite!-
esclamò Barbarella, cercando di dare un tono maschile e perentorio alla sua voce, per quello che le permetteva la sua età.
-Vi sbagliate, qui non c'è nessuno e non apro a nessuno!- rispose Anna sorridendo fra sé, assecondando il gioco che si ripeteva simile tutti i giorni, al ritorno da scuola. Cambiava soltanto l' oggetto dello scherzo: oggi i Carabinieri, ieri Berlusconi, prima ancora Topo Gigio...
-Ma mamma, sono io!- incalzò Barbarella, facendo finta di credere che sua madre avesse veramente creduto allo scherzo.
E così, come sempre, il portone si aprì con uno scatto e Barbarella corse su per le scale verso casa.
- Ciao mà!- salutò Barbarella, liberandosi dello zaino colmo di libri e quaderni lanciandolo sul divano del soggiorno.
Anna rimaneva sempre sorpresa da quel gesto atletico, non riuscendo a capire da dove una bambina così minuta riuscisse a tirar fuori tanta energia.
- Ciao Barbarè, hai fame? Come é andata oggi a scuola?-
- Benissimo, e ciò 'na fame che me magnerei 'na noce de cocco co' tutta la scorza, pure perché oggi nun ho magnato a ricreazzione.-
- Come sarebbe che non hai mangiato! Ma non ti sei comprata la solita pizza dal fornaio, stamattina?-
- Sì che l'ho comprata!-
- E allora, perché non l'hai mangiata?-
- Vedi mà, er fatto è che oggi, in classe, sò arivati dù compagni novi, n'artri dù alunni.-
- E allora?-
- Sò troppo simpatici, a mà. So' fratello e sorella, se chiameno Patrizia e Sebastiano, e so' 'n sacco divertenti. Penza che appena che la maestra l'ha fatti sedé ar banco, pé prima cosa se sò levati le scarpe, perché glie daveno fastidio, dicevano.-
- Si, ma...-
- E allora se semo messi tutti a ride e loro rideveno co' noi. Ma la maestra è stata comprensiva e nun l'ha sgridati, anzi , s'è messa a ride pure lei. E poi la sorellina era così carina, ciaveva du' treccette co' du' fiocchetti fatti col nastrino rosso e un vestitino co' la gonna lunga, de velluto. Ma me sà che nun so' proprio italiani, perché cianno un accento strano. Comunque se chiameno Patrizia e Sebastiano, e so' simpatici 'na cifra.-
- Sì, ma la pizza?-
- E poi a ricreazzione semo annati tutti in cortile a giocà e io ho giocato co' loro. A mà, ma lo sai che sanno un sacco de giochi che io nun conoscevo? Avemo pure fatto 'na specie de nascondino, solo che uno invece de accecasse e contà fino a cinquanta, deve corre a raccoglie un barattolo che quarcun'altro ha calciato con tutta la forza che cià. Così più lontano hai mannato er barattolo, più tempo ciai pe' nasconnete. Noi l'avemo fatto co' un barattolo vuoto de pommidoro che avemo trovato drento ar bidone della monnezza.-
- Lo conosco, Barbarè, lo facevo pure io, ma la pizza?-
- La pizza glie l'ho data a loro, perché quanno che l'ho scartata pé magnammela, me guardaveno co' du' occhi! Però poi loro m'hanno regalato ste du' pallette. Guarda mà, sò du' pallette da golf! Dicheno che loro, da un po' de tempo, dopo che er sindaco l'ha mannati via dal campo del Casilino 'ndò staveno prima, abbitano dentro 'na casa de legno vicino al circolo dell'Acquasanta, dove ce stanno li campi da golf, quelli dove vanno a divertisse li ricconi, e siccome che nella rete de recinzione dei campi ce sta un buco, allora loro riescheno a infilasse e a raccoglie quarche palletta che se perde in mezzo all'erba. Però deveno da stà attenti, perché ce so li garzoni che, se li vedono, glie corono appresso. Ma loro sò più veloci!-
- Ho capito...-
disse Anna, -...sono dei Rom. -
- Nun lo so se so' della Roma-
, continuò Barbara - però semo diventati amici lo stesso! Senti mà, io domani glie vorrei regalà quella bamboletta coi capelli rossi e il cappellino, e pure Minni col vestito rosa. Tanto io nun ce gioco più. E poi, siccome cianno pure du' fratellini più piccoli, glie porto pure quarche peluche dé quelli vecchi. Che dici mà, glieli posso regalà? Eh? Posso, ma? Posso?-
- Certo che puoi, Barbaré... e poi senti, domani mattina ti dò un po' più di soldi, così quando passi dal fornaio compri la pizza pure per loro, capito?-
- Ho capito mà, grazie!! E' pronto da magnà?-

Il giorno seguente, Barbarella tornava da scuola verso casa, lentamente, rasentando il muro, con la bambolina in braccio e Minni che sporgeva dallo zaino stracolmo. Sua madre, stavolta, la aspettava in strada, con gli occhi rossi e il cuore gonfio di pena da quando il notiziario del mattino l'aveva schiaffeggiata con quella notizia.
- Ciao Barbarè...-
- Ciao mà. Lo sai che Patrizia e Sebastiano oggi nun so' venuti a scola? La maestra ha detto che se sò trasferiti, però era strana, perché mentre lo diceva piagneva. E poi perché se so' trasferiti dopo er primo giorno de scola? E perché la maestra nun ha voluto che nessuno se sedesse ar banco loro? E poi cià messo sopra li fiori. Ma che nun era meglio se glie li dava ieri, li fiori? Oggi come fanno a pijasseli, se so' partiti? E poi perché nun me l'hanno detto ieri, che partivano?-
- Non lo so...-
mentì Anna frenando il pianto che stava per prendere il sopravvento.
- A mà, ma mò come faccio a daje le bambole? Che nun glie se possono manda' pé posta?-

Anna abbracciò stretta stretta la bambina e, incamminandosi verso casa mano nella mano, mormorò:
- Ci penso io, Barbaré, gliele porto io le bamboline, gliele porto io ...-





9 gennaio 2011

53 colpi di frusta


Da: Corriere della Sera

«Abiti indecenti», frustata in pubblico

Il filmato girato a Khartoum e postato in Rete dagli attivisti ha suscitato numerose polemiche

Cinquanta frustate in pubblico come punizione per aver indossato «abiti indecenti». Una minigonna secondo alcuni, un paio di pantaloni, sostengono altri. Il tutto ripreso da una telecamera e poi postato su YouTube. In Sudan ha scatenato numerose polemiche il video fatto circolare in Rete da alcuni attivisti locali. Il filmato è stato girato nel luglio del 2009, probabilmente di nascosto e secondo Al Jazeera è stato diffuso il 10 dicembre scorso in occasione della giornata mondiale dei Diritti umani.





Assunta uscì lentamente dalla chiesa, salutando come d'abitudine una ad una tutte le anziane signore che, come lei, provavano un senso di pace e di sollievo nel ritrovarsi tutte le sere in chiesa per la messa del vespro. Uscì sul sagrato e solo allora si tolse il velo dal capo, come le avevano insegnato a fare fin da piccola. "In chiesa ricordati di portare sempre il velo sulla testa...", le raccomandava sua nonna, "...altrimenti fai peccato. L'ha detto San Paolo!".
In verità, Assunta non aveva mai capito perché le donne dovessero portare il velo, mentre agli uomini, anche quelli affetti da una calvizie vanamente dissimulata da un ridicolo riporto, ciò non fosse richiesto né imposto, ma in fondo il velo non aveva mai rappresentato per lei un problema, anche perché, da giovane, esso le permetteva di nascondere i suoi sguardi fuggenti verso Gavino, uno dei ragazzi che seguiva la messa dalla fila di banchi sul lato opposto della chiesa. Non era possibile, ai suoi tempi, che uomini e donne sedessero in chiesa sugli stessi banchi, così il lato sinistro della navata centrale era riservata ai banchi degli uomini e quello destro ai banchi delle donne. Certo, era avvenuto un grando progresso da quando l' intera navata era riservata agli uomini, mentre le donne dovevano sistemarsi in disparte sui matronei. Ma quelli erano altri tempi, ora le cose erano cambiate, il prete non dava più la schiena ai fedeli e finalmente le famiglie potevano sedere insieme, anche se Assunta non riusciva a fare a meno di occupare il solito posto vicino al muro destro, con sopra il capo il velo di merletto nero che sua nonna le aveva regalato il giorno della sua prima comunione.

Poi Assunta aveva sposato Gavino, che le aveva dato tre bei figli maschi. Sebbene le risultasse difficile comprendere come Gavino si potesse vantare con gli amici dei tre maschi che aveva regalato alla moglie, quando era stata lei a partorirli, a lei bastava che suo marito fosse felice e orgoglioso della propria famiglia. La sua famiglia era stata tutto per lei, per essa aveva rinunciato a qualunque velleità, lo studio, il lavoro, anche perché Gavino diceva che le donne dovevano restare in casa, a badare ai figli, ed ora che i suoi figli erano lontani, chi per lavoro chi perché nel frattempo si era a sua volta sposato, si sentiva un pò sola.
Gavino era stato un buon marito, lavoratore, dedito alla famiglia, ma l'aveva lasciata quasi quindici anni prima. Non per un'altra donna, per carità, anche se Assunta aveva sempre avuto il sospetto che qualche scappatella se la fosse concessa, di tanto in tanto. In fondo era sempre stato esuberante, Gavino, e una valvola di sfogo sarebbe stata naturale, anche perché lei non si era mai ritenuta molto affascinante, anzi, alquanto mediocre, e aveva spesso pensato che essersi sposata fosse stato per lei una fortuna. Così aveva sempre evitato di rimuginare troppo su quei sospetti, come le aveva raccomandato, per esperienza, di fare sua madre.
No, Gavino l'aveva lasciata a causa di un infarto che un bel giorno se l'era portato via. Ma perché, ogni volta che raccontava della morte di suo marito, diceva sempre "un bel giorno se n'è andato"? Non era stato mica un bel giorno, tutt'altro. Poi il tempo fece scivolar via anche i dolori più forti, lasciando soltanto una traccia di cupa malinconia, che non ti lascia mai, è vero, ma che comunque ti lascia sopravvivere.

Quella sera si ritrovava un'anziana signora, dal passo lento e dai capelli bianchi, che rientrava a casa dopo la messa e che, come tutte le sere, accendeva la televisione in cucina per cercare un pò di compagnia mentre scaldava la sua solita tazza di caffelatte sul fornello piccolo della stufa a gas. Il notiziario snocciolava il solito rosario di notizie che ormai Assunta nemmeno ascoltava più, tanto uguali si ripetevano ogni volta, ma quella sera qualcosa attirò la sua attenzione. Un video, sicuramente proveniente da qualche regione africana, nel quale si vedeva la scena di una ragazza presa a frustate in mezzo ad una folla di uomini. Il commentatore parlava di una punizione per aver indossato un paio di pantaloni od una gonna "indecente".
Assunta rimase lì, a guardare quelle immagini, mentre le urla e le implorazioni della ragazza le toglievano il respiro. Quella notte la passò a rigirarsi nella sua metà del letto matrimoniale, mentre le ritornavano in mente tanti episodi del suo passato, alcuni di quando era ancora una bambina, altri di quando era una ragazza, altri successivi al suo matrimonio. Umiliazioni sopite o volutamente ignorate, brandelli di passato che inaspettatamente le tornavano agli occhi, l'uno dopo l'altro, come fotogrammi di vita osservati dal finestrino di un treno in corsa, come frustate che le laceravano la carne.

Si alzò presto, quella mattina, in tempo per recarsi alla messa dell'Aurora dell'ora di Prima. Il parroco era un tradizionalista, ed aveva voluto conservare quella messa, nonostante il Concilio. Era appena terminato il canto di ingresso e il sacerdote si accingeva a pronunciare il rito di introduzione, quando Assunta si alzò dal suo banco e, per la prima volta nella sua vita, si tolse il velo dai capelli. I pochi anziani presenti avevano lo stesso sguardo stupito del parroco mentre la osservavano avvicinarsi all' altare.
"Deus ti salvet, Maria", mormorò Assunta adagiando con cura il bel velo di merletto di sua nonna sul capo della statua della Madonna. Quindi si voltò, e con il suo passo lento e a capo finalmente scoperto, uscì nel luminoso freddo del mattino.