5 luglio 2015

L'esubero

Michele aveva appena tirato fuori dal frigorifero la bottiglia di porto colheita, tenuta lì per pochi minuti, il tempo necessario per renderlo fresco senza soffocarne l'aroma, quando il citofono emise il solito, stanco, gracchiante ronzio del crepuscolo. Premette il pulsante del portone, aprì la porta di casa e tornò in cucina per prendere la bottiglia e le due 'copitas', i bicchieri a forma di tulipano che meglio restituivano il sapore di quel vino.
Come tutte le sere, Nicola aprì il portone cigolante e si infilò nell'ascensore stile anni '30, che conosceva sin da bambino, quando lui e Michele erano diventati amici giocando per strada insieme agli altri ragazzi del quartiere.

Le loro erano state vite parallele, quasi simbiotiche: le stesse amicizie, le stesse scuole, a volte le stesse ragazze, la stessa naja sotto le armi e infine lo stesso lavoro, in quella ex fabbrica, ora sede di una multinazionale, all'interno della quale avevano speso i loro anni migliori. Adesso, per la prima volta, si trovavano di fronte ad un bivio che pretendeva condurli per strade diverse: l'azienda aveva deciso che uno di loro due era di esubero. Certo, non aveva indicato chi, ma la tabella che era stata distribuita indicava chiaramente che uno dei due avrebbe dovuto andarsene ed infatti entrambi erano stati convocati dal management per il giorno dopo, allo scopo di raggiungere "una sintesi costruttiva", avevano detto. Traduzione: mettevi d'accordo fra voi, ma sappiate che uno di voi è di troppo.

Nicola entrò in casa e si diresse senza indugi verso il terrazzino che si affacciava su quella via che da giovani li aveva visti protagonisti delle più epiche partite di calcio del quartiere. Ore passate a sfidarsi tra squadre rionali di ragazzini strepitanti, così intense che nessuno sporadico automobilista di passaggio osava interromperle, preferendo cambiare strada, e  che spesso finivano a botte fino a quando, giunta l'ora di cena, le madri si affacciavano da quei balconi chiamando ad alta voce i figli:
-MARIOOO, VIE' A CASAAA! SBRIGHETE, CHE E' PRONTO! LO SAI CHE TU' PADRE SE 'NCAZZA SI NUN STAMO TUTTI A TAVOLA A ORA DE CENA!!-. Così, quasi per magia, le strade si svuotavano in un lampo e l'eco della sigla di "Carosello" si spandeva per le deserte vie del quartiere.

Si sedette nella solita sedia di vimini consunta e rimase lì in attesa, osservando le caotiche traiettorie delle rondini che a quell'ora volavano basse a caccia di falene e zanzare.
Michele lo raggiunse con la bottiglia e i due bicchieri, e dopo aver versato il vino, si sedette anch'egli, senza parlare. Sorseggiarono lentamente il vino liquoroso, godendosi il ponentino della sera, fino a quando Nicola non prese l'iniziativa:
-Allora Michè, che ne pensi?-
-Che ne penso? Penso che so' 'na massa de fiji de' 'na mignotta! Ecco che ne penso!-
-Vabbè, questo lo sapevamo Michè, ma io me riferivo alla convocazzione de domani. Lo sai che vònno da noi, vero?-
-Certo che lo so, Nicò, vonno che decidemo noi, perché sono così vigliacchi che nun cianno manco er coraggio de decide da soli. Gli hanno ordinato de caccià uno de noi, ma nun ciànno i cojoni pe' sceglie quale, così se ne vonno lavà le mano e se illudono che se scannamo fra noi due! Anzi, ce faranno pure le scommesse su chi de noi se caca sotto pe' primo!-

-A Michè però, in nome della nostra vecchia amicizia, 'sto sacrificio lo potresti pure fa', no?-
Michele ebbe un attimo di perplessità nell'ascoltare quelle parole, ma bastò loro incrociare per un istante i loro sguardi, per capire l'ironia e sbottare a ridere come matti.
-Guarda che er sacrificio lo faresti tu!- esclamò Michele, -Ma te ce vedi dentro a quella gabbia de' matti ancora pe' dieci anni, senza de me? E poi, se proprio volemo parlà de esubberi, tu sei più esubberante de me. Te ricordi de quanno hai chiuso Giggi "er Ciccio" drento ar furgone frigorifero de li ggelati?-
-Certo che me lo ricordo, però ciavevamo dieci anni e poi drento ar furgone er Ciccio ce s'era intrufolato da solo, perché se voleva 'mbertà (rubare, n.d.r.) quarche gelato mentre che l'autista stava a rifornì er baretto! Io ho solo chiuso lo sportello.-
-Si, hai chiuso solo lo sportello, peccato che poi er cammion è ripartito cor Ciccio chiuso dentro e che quanno mezz'ora dopo è arivato a Frascati, e l'autista ha operto la porta del furgone pe' rifornì er bar della piazza, n'artro pò e glie pija n'infarto a vedé er Ciccio tutto ricoperto de brina che sembrava er pupazzo de neve a Natale colla carota ar posto der naso!-

-Vabbè, che c'entra, eravamo regazzini. E poi nun era 'na carota, era un cono all'amarena, e durante er viaggio er Ciccio s'era magnato due scatoloni de cremini, quaranta camillini, dieci coppe der Nonno , sessanta Paiper e tre torte de cioccolato. Te lo ricordi che panza che ciaveva quanno l'hanno tirato fòri? Sembrava er Budda, sembrava.-
-Guarda che er panzone che chiameno Budda, nun è er vero Budda, ma uno dei suoi seguaci, un cinese, un certo Piputai Hoshang, che prima aveva fatto la bella vita e s'era magnato 'sto mondo e quell'artro, e poi s'era pentito e s'era dato al buddismo. Er vero Budda, quello indiano, era snello, lo chiamaveno "er secco", perché pe' raggiunge l'illuminazzione s'era dato ar diggiuno, nun magnava più un cazzo e nun se reggeva manco in piedi!-

-Ammazza che stronzi 'sti cinesi!-esclamò Nicola -A li Tibbetani gli hanno scippato pure la divinità, nun solo la nazzione! E' come se ner presepio de Natale in parocchia ciavessero messo er bambinello coll'occhi a mandorla. Ma te l'immaggini Don Mario le madonne? -
-Vabbè, lassa perde.- sghignazzò Michele - Fatto sta che er Ciccio sembrava er Budda ciccione cor sorrisetto sulle labbra, e me ricordo pure li sganassoni (schiaffoni, n.d.r.) che prese dar padre, er sor Pierino, quanno che lo anniede a riprende perché i carabbinieri l'avevano avvisato che avevano ritrovato er fijo. Era 'ncazzato come 'na biscia! Però, quanno che smise de gonfiallo, poi se l'abbracciò come ar figliol prodigo!-
I due amici erano piegati in due dalle risate suscitate da quei ricordi di gioventù e la serata continuò così, fino alla fine della bottiglia, fino a quando la strada dei ricordi non li riportò alla loro situazione.

-A Miché, a me nun me sta bene manco pé gnente che dopo tanti anni ce tratteno così, come du' pupazzetti del Risiko!-
-Manco a me Nicò, anzi me rode proprio er culo de dové giocà ar gioco che glie piace a loro, 'ste mezze cartucce der cazzo, gente da dù sordi che ai tempi nostri, se provavano a entrà in quartiere, glie levaveno pure le mutande glie levaveno!-
-E allora che famo Michè, nun ciannàmo?-
-Ciannàmo Nicò, certo che ciannàmo. Li fàmo contenti, ma er gioco lo scegliemo noi stavòrta, stavòrta lo decidemo noi chi è l'esubbero...-