12 maggio 2011

Handala, erba amara

"Ma Sara vide che Ismaele, il figlio di Agar l'Egiziana, quello che essa aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco. Disse allora ad Abramo: «Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco». ... Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre di acqua e li diede ad Agar, caricandoglieli sulle spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Essa se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea."

Da: The Palestine Post

Sunday, May 16, 1948


STATE OF ISRAEL IS BORN
"Jews take over security zones"
The creation of "Medinat Yisrael", the State of Israel, was proclaimed at midnight on Friday by Mr. David Ben Gurion.
The first act of the Council of Government, as announced by its head, was to abolish all legislation of the 1939 White Paper of the late Mandatory Power, particularly the Ordinances and Orders relating to immigration and land transfer.


Il chiarore del sole stava appena iniziando a farsi strada tra le ombre della notte, in lontananza, aldilà delle cime del monte Nebo, quando il muezzin della moschea di al-Aqsa liberò il primo dei quattro takbir dell'adhan del mattino. Il richiamo alla preghiera scivolava giù, come una cascata, per le mura del Tempio, raggiungeva la città vecchia ed i quartieri arabi di al-Qud, la Santa, come gli arabi chiamano Gerusalemme. Sorvolava il quartiere cristiano ed i luoghi dove un tempo sorgeva il quartiere di Mughrabi, il quartiere marocchino, abbattuto per creare la piazza di fronte al Muro del Pianto, dove gli Ebrei pregano il loro dio. E ancora più a Sud il canto inondava come un fiume in piena il quartiere giudeo e giungeva fino al borgo di Silwan verso il quale Halima rivolgeva lo sguardo sin da quando era uscita di casa, nel pieno della notte, per recarsi sul monte Moriah ed andarsi a sedere al margine meridionale della spianata delle moschee, dove suo padre la portava spesso a giocare da piccola. Le era sempre piaciuto quel posto, colmo di aromi, di profumo di agrumi portato da lontano dalla brezza del mare, di fragranza sparsa dal carrettino del venditore di ataef, che ogni volta le regalava uno di quei dolci di pasta, ripieni di noci e mandorle, chiedendo in cambio soltanto un sorriso a quella bambina dallo sguardo triste.

Perché, se un pittore avesse voluto rappresentare la tristezza in un dipinto, l'avrebbe sicuramente trovata negli occhi di quella bambina, trovandovi sua madre, con in braccio suo fratello Naji, piangente di fronte alle macerie della sua casa e suo padre, una giovane quercia di quarant'anni, improvvisamente trasformato in un vecchio di fronte all' orrore del suo uliveto distrutto dalle ruspe sioniste. Non si erano accontentati di abbattere e frantumare con i cingoli quegli alberi secolari, amati, curati e coltivati da generazioni e generazioni, ma avevano anche dato fuoco ai resti e cosparso di sale il terreno. Solo il vecchio albero di sicomoro, attorno al quale era stata costruita la loro casa, era rimasto in piedi ed aveva loro offerto rifugio e consolazione per la notte. Ma il mattino seguente le bande di Begin erano tornate, e lo avevano estirpato con una benna, lasciandoli lì, l'albero e la sua famiglia, agonizzanti, con le radici al sole. Fu così che, il 13 Maggio del 1948, Halima si trasformò da bambina felice del villaggio di Al-Shajara, in uno dei tanti profughi palestinesi scacciati da uno dei tanti villaggi distrutti dai sionisti in quei giorni della Naqba, la Catastrofe. Distrussero le case, si presero le terre e non lasciarono loro nemmeno i cimiteri, nemmeno i nomi dei vilaggi sulle carte geografiche.

Passarono anni nei campi profughi, prima che riuscissero a riguadagnare parte della dignità persa, il minimo necessario affinché Naji potesse cercare di rifarsi una vita altrove e affinché Halima, ormai adulta, potesse andare in sposa ad un brav'uomo che la portò ad abitare nel quartiere di Silwan, nella parte araba di Gerusaleme, nella casa che era stata della sua famiglia sin da quando era stata costruita. Lì Halima aveva pian piano restituito un senso alla propria vita, e suo figlio Ismail, crescendo, assomigliava sempre più a suo nonno, morto ormai da tanti anni. - Qui siamo al sicuro - ripeteva Halima a suo figlio, - questa zona è araba, lo ha detto l'ONU-. Ma quel giorno di Luglio bussarono alla sua porta, e degli uomini irruppero nella sua casa, spintonando suo figlio e sventolandole sotto il naso dei fogli di carta scritti in ebraico, dove dicevano che c'era scritto che quella casa non era la sua, che non aveva il diritto di stare lì, che l'avrebbero abbattuta insieme alle altre del quartiere, per costruirvi i nuovi giardini di Re David. Ventiquattro ore di tempo le avevano dato per togliersi di mezzo, lei e suo figlio. Quella notte, Halima udì Ismail alzarsi lentamente, in silenzio. Era un uomo ormai, era cresciuto in fretta, come tutti i ragazzi palestinesi, e parimenti agli altri era cresciuto come l'handala, l'erba amara del deserto, che puoi puoi provare ad estirpare, ma lei resiste e rinasce più forte di prima. Halima ricordava ancora i tempi della propria infanzia, quando non esistevano muri o fili spinati che impedissero ai bambini, palestinesi, ebrei o cristiani che fossero, di giocare fra loro. Ma ora tutto era cambiato, e in quella terra, che un tempo assicurava a tutti la serenità, ora regnava solo odio e violenza. E fu un odio feroce che Halima lesse negli occhi di suo figlio, mentre quella notte si lavava e sbarbava accuratamente, indossava indumenti puliti e la tunica bianca con la quale suo padre aveva sposato sua madre. Poi si inchinò a pregare Allah, a lungo, prima di uscire di casa.

Lei gli si precipitò dietro, ma Ismail era nel frattempo già sparito nel buio dei vicoli di Silwan. Così Halima si era recata sul monte Moriah per pregare Allah che gli riportasse suo figlio, che non lo trasformasse in un martire.
Hayya ʿalā al-ṣalāh, affrettatevi alla preghiera, salmodiava il muezzin, e Halima pregava, con il cuore accartocciato come una foglia in autunno, con il suo volto rugoso e i suoi tristi occhi di bambina fissi verso il borgo di Silwan, con il terrore di vederne arrivare un lampo, di sentirne provenire un boato, di scoprire in suo figlio un nuovo shahìd.
Hayya ʿalā 'l-falāħ, affrettatevi alla felicità, ripeteva la voce dal minareto, ma Halima non ricordava più da tempo cosa fosse la felicità. Allora chiuse gli occhi e improvvisamente vide un bambino, di spalle, scalzo e vestito di poveri stracci, le mani dietro la schiena, che le ripeteva "Non piangere Halima, non piangere sorella mia. Io sono con Ismail."
Halima aprì gli occhi. Suo figlio era lì seduto accanto a lei.
Lā ilāha illa Allāh, recitò l'ultima formula dell'Adhan, mentre il disco del sole completava la sua lotta contro le tenebre e Halima abbracciava suo figlio.

Il fratello di Halima, Naji el-Ali, era stato assassinato due giorni prima, a Londra, mentre usciva dalla redazione del giornale dove lavorava come vignettista.